Recenti fatti di cronaca come la morte di Gaia e Camilla investite da Pietro Genovese, figlio del regista Paolo Genovese, hanno riaperto la discussione circa il concorso di colpa dei pedoni nei casi di omicidio stradale.
Con la Sentenza n. 52071 depositata il 30 dicembre scorso, la Cassazione ha confermato l’omicidio colposo per un automobilista che ha investito e ucciso un pedone anche se quest’ultimo camminava di notte, sulla carreggiata sbagliata, affiancato ad altra persona, anziché su un’unica fila.
Omicidio stradale, il conducente deve prevedere
Secondo la Cassazione, quindi, chi guida un veicolo deve prevedere anche comportamenti indisciplinati da parte dei pedoni ed essere in grado di annullarne le conseguenze, salvo ovviamente casi estremi.
La sentenza è piuttosto interessante perché richiama il cosiddetto «dovere di attenzione» del conducente, il quale deve:
- ispezionare la strada dove procede e quella che sta per impegnare;
- mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico;
- prevedere tutte le situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada, e in particolare per i pedoni.
Guida in stato di ebbrezza
L’omicidio stradale, dopo la legge 41/2016, è diventato un reato autonomo rispetto all’omicidio colposo, con pene più severe e diverse circostanze aggravanti in caso di guida in stato di ebbrezza per abuso di alcool e droghe.
Subito dopo l’incidente mortale, Pietro Genovese è stato sottoposto ai test di alcool e droga, entrambi risultati positivi. Per l’omicidio stradale il Codice Penale prevede la detenzione in carcere da 5 a 10 anni se il guidatore ha un tasso alcolemico compreso tra 0,8 e 1,5 g/l; pena che può arrivare fino a 18 anni di carcere in caso di omicidio plurimo.
Ma le indagini, nel caso di Genovese, non sono ancora concluse.