Il Carnevale napoletano ha inizio il 17 gennaio nel giorno di Sant’Antonio Abate o anche detto Sant’Antuono.
Dalla durata di oltre un mese, in quel giorno si accendeva ‘o cippo, o ‘o fucarazzo, ovvero un ammasso di roba legnosa e vecchia da bruciare e mandare via. Nel frattempo nelle strade principali, il popolo in maschera, si esibiva nelle danze popolari, tammurriate e tarantelle.
Le prime informazioni scritte vengono dallo scrittore Giovan Battista del Tufo.
Nella sua opera “Ritratto o modello delle grandezze, delle letizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli”. Ci rivela che nel 1500 gli unici a travestirsi erano i principi, le dame, i cavalieri e tutti coloro che potevano partecipare alle feste a corte. Un secolo dopo, la maschera raggiunse il popolo, ma già nell’antichità avveniva la mascherata in strada e nei vicoli. Nel 1656, con le Corporazioni nacquero i carri allegorici o della Cuccagna. Non mancavano i travestimenti, i giochi e tutto ciò che rivediamo nel Carnevale moderno.
Fu con i Borboni che il Carnevale divenne di notevole importanza.
Continuarono ad esserci i travestimenti ed i carri allegorici preparati per la festa di Piedigrotta. L’allestimento dei carri, avveniva in Piazza del Plebiscito. Venivano riempiti di provviste e saccheggiati. Lo sparo di cannone dava il via al saccheggio che durava pochi minuti. Le tofe di Palazzo Reale davano il via alla festa.
I giochi più in voga
L’albero della cuccagna o più semplicemente il palo di sapone. Questo palo di legno veniva insaponato e reso molto scivoloso. Vinceva chi riusciva ad arrivare in cima e ad afferrare i premi che potevano essere di vario tipo. Questo gioco serviva anche a mettere in evidenza il riempirsi e riempirsi la pancia prima del digiuno quaresimale.
Questa usanza del palo di sapone, ad oggi la ritroviamo il 15 agosto nel giorno della Madonna Assunta, protettrice dei pescatori a Pozzuoli. Viene allestito questo palo di sapone sull’acqua con una bandiera all’estremità.
Le pietanze tipiche
Ormai unificate in tutta la nazione, si và dalle chiacchiere, alla lasagna, al sanguinaccio fatto con la cioccolata e non più con il sangue di maiale. Poi il migliaccio, le zeppole, le bugie, le frittelle, le castagnole, gli struffoli e i taralli al Naspro. Dovrebbero essere consumate solo il martedì grasso, chiude il carnevale e avviene la grande abbuffata che precede i 40 giorni di Quaresima che porteranno alla Pasqua.
Il popolo in piazza, fra carri e travestimenti, usavano suonare alcuni strumenti musicali popolari non del tutto noti.
Il primo è lo scetavajasse, una specie di violino, il cui suono era in grado di risvegliare le donne di bassa provenienza sociale. Il putipù è formato da una particolare pentola usata per cuocere la pasta di Gragnano, ricoperta di pelle di capra con un foro al centro e un bastone. Il tricchebballacche di derivazione saracena a percussione e a scuotimento.
La fine del Carnevale e il suo funerale
Avviene in parecchi paesi campani, fra cui Montemarano. Viene celebrato una sorta di funerale per indicare la fine della festa e l’inizio del periodo sacro.
I costumi di ieri ed oggi
La maschera più ricordata della tradizione napoletana è Pulcinella. Spesso lo contrappongono ad Arlecchino, maschera tipica bergamasca. Pulcinella è una delle maschere della commedia dell’arte, nasce ad Acerra nella seconda metà del Cinquecento dall’attore Silvio Fiorillo. Il costume a metà dell’Ottocento fu modificato da Antonio Petito. Inizialmente il cappello era bicorno a pan di zucchero diverso da quello bianco attuale. Aveva barba e baffi. Male sue origini non s0no ben chiare. Rappresenta Napoli in tutte le sue sfumature.
Il personaggio deriva i suoi movimenti da un pulcino, altri lo attribuiscono al contadino di acerra Puccio D’Aniello, altri come emblema della morte. Il colore bianco dell’abito indicherebbe proprio le lenzuola bianche in cui ogni sera avviene la morte apparente quotidiana, la maschera nera lo collega con la morte, i cappello è la federa del cuscino.
La maschera poco conosciuta è la Vecchia ‘o Carnevale, in cui Pulcinella si trova a cavalcioni su una donna anziana. Una maschera nella maschera.
I Napoletani non si lasciano sfuggire nulla, sempre pronti alla risata e allo scherzo. Come si nota a San Gregorio Armeno per l’arte presepiale, a Carnevale ne vediamo di tutti i colori e i gusti. Ad oggi, le maschere che vanno sempre di moda, sono quelle ispirate alla tradizione, quelle dei cartoni animati Disney e altre ridicole.
Nell’epoca moderna si usa travestirsi e travestire i propri i figli in base all’accadere di alcuni avvenimenti. Abbiamo visto per Napoli armadi costruiti appositamente con una mini Cecilia Rodríguez, ragazzini travestiti dal personaggio di Gomorra che più piace, finti malati terminali con tanto di flebo e dulcis in fundo tante piccole Rosanna, la signora che ha fatto tanti shares per la pelliccetta scambiata.
Come cambiano i tempi!