Si è svolta al Maschio Angioino di Napoli il 12 settembre (in replica il 13) la cantata semiseria scritta da Aurelio Gatti (che ne ha curato anche la regia) e Mario Brancaccio dal titolo “Lavali col fuoco”.
Il Vesuvio è lì che incombe, minaccia e impaurisce senza che la sua presenza fisica si palesi, su un palco volutamente privo di scenografia perchè basta la musica di Michele Bonè e Andrea Bonetti chitarra e fisarmonica (eseguita dal vivo)
e la compagnia “Lacreme napulitane”, ora coro greco, ora gloriosi scavalcamontagne di un teatro “che fu che è stato e che sarà” per mettere in scena la difficoltà di essere e di fare l’ attore.
“Lavali col fuoco” ha una scrittura curata, profonda e una ben calibrata regia; ricca di riferimenti colti, regala al pubblico un tempo permeato di passato e critico verso il futuro.
Viviani e Pulcinella (Mario Brancaccio), le prèfiche di donna Rosalia (Patrizia Spinosi) e Gershwin, Carmina Burana e Giulietta Sacco concorrono a dipanare il filo della narrazione alla stregua dei personaggi in carne ed ossa; assai più che compendio musicale essi diventano attori di un rituale antico. Eppure questa pièce non è un mero memoriale, atto malinconico dei tempi che furono affidato a sei personaggi che non sentono il bisogno di trovare un autore, quanto piuttosto un pubblico e una scrittura. “Lavali col fuoco” è anche occasione per il pubblico per attingere ad un periodo della cultura napoletana -che va da “connole senza mamma” ai fasti del teatro 2000- che troppo spesso è passato sotto silenzio o snobbato, arricciando il naso.
Il Vesuvio prenderà corpo nella voce -potente e limpida- di Isabella (Anna Spagnuoli), e la ricchezza del canzoniere partenopeo verrà affidata al capocomico (un Lello Giulivo che entra ed esce con incredibile lestezza dai panni del Diavolo di “Actor Dei” per dar voce allo sdegno dell’ attore che deve fare i conti con il Palazzo e con i nuovi fruitori dell’arte sua), mentre l’eclettico Maurizio Murano si cimenterà anche in un impegnativo assolo di “Vesti la giubba”; Mario Brancaccio è il trait d’union della vicenda, vestendo i panni di un singolare pulleceniello cui fa da contraltare Maria (Simona Esposito), stella della sceneggiata che reca in sé la paura del domani, paura che sempre investe chi fa l’incerto mestiere dell’attore, e che, al contempo, porta dentro di sè la risposta a queste paure.
Io faccio l’attrice. Si, ma che mestiere fai pe campà?
Se avete mai ascoltato un dialogo simile, “Lavali col fuoco” vi fornirà una serie di insospettabili, allegorici, divertenti spunti di riflessione.