I robot e la velocità di apprendimento


Il MIT riscrive le regole del machine learning: i robot imparano!

Se c’è un obiettivo che la robotica sta cercando di conseguire sin dalle sue origini, questo è certamente quello di riuscire a rendere autosufficienti le macchine attraverso l’apprendimento. Rendere un cervello di silicio in grado di apprendere e di imparare dai propri errori non è semplice, e richiede una quantità di calcoli, da parte della macchina, notevole. Molti team in tutto il mondo stanno convergendo verso questo obiettivo, e grazie allo sviluppo scientifico e tecnico raggiunto negli ultimi anni, sono moltissimi i passi in avanti rispetto agli albori della robotica. In tal senso possiamo anche sentirci orgogliosi di avere proprio nel nostro paese una delle eccellenze del campo, tant’è che l’ormai celebre iCub dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova ha raccolto premi e consensi da parte di tutti gli studiosi e gli esperti del campo.

Nonostante ciò l’obiettivo di un robot che replichi le peculiarità di un cervello biologico è ancora lontano, anche se un ulteriore passo in avanti è stato conseguito, proprio di recente, da un’equipe di scienziati del rinomato Massachussets Institute oh Technology di Boston, meglio noto come MIT. Il team, coordinato dal Dott. J.B. Tenenbaum e su sviluppo del Dott. Brenden Lake, ha, infatti, messo a punto un prodigioso algoritmo chiamato “Bayesian program learning framework”, grazie al quale una macchina è in grado, di fatto, di imparare. Prima di correre troppo con la fantasia è doveroso specificare che, ad ora, la macchina su cui l’algoritmo è stato installato riesce solo ad apprendere concetti estremamente semplici. Può, ad esempio, imparare alcuni simboli, a prescindere che siano composti digitalmente o a mano, ma la ricerca del MIT punta a compiti ben più complessi, come sistemi di simboli (e dunque la scrittura), movimenti, ma anche linguaggio e, perché no, passi di danza.

 

Quello che è un problema fondamentale dell’apprendimento delle macchine, è la necessità di inserimento di una gran quantità di dati, rispetto al corrispettivo umano. Immaginate che i robot possano sentire calore scottandosi con una fiamma. Se ad un essere umano basta toccare il fuoco una sola volta per scottarsi, ad un robot toccherebbe toccare quella stessa fiamma decine di volte prima di “imparare”. Questa problematica del “machine learning” è il fulcro dello studio del MIT, che attraverso il suo algoritmo vorrebbe ridurre drasticamente il numero di “tentativi” che la macchina dovrebbe compiere per imparare. Si vuole, in pratica, ricreare in modo artificiale non solo l’apprendimento, ma le modalità con cui l’uomo impara.

La generalizzazione delle esperienze, la classificazione e la conseguente elaborazione dell’esperienza sono l’obiettivo dell’equipe di Boston che riuscirebbe così a creare la prima, vera, intelligenza artificiale in grado di imparare attraverso informazioni semplici. Ancora in via sperimentale, il Bayesian program learning framework ha comunque già registrato degli ottimi risultati dimostrando di essere molto vicino a quello che è il modello di apprendimento naturale tipico dei cervelli biologici. Non solo la macchina riesce ad imparare con maggior semplicità rispetto al passato, ma riesce anche a ri-applicare ciò che ha appreso in modo creativo. In tal senso il MIT sta insegnando all’algoritmo l’alfabeto, ed ancor prima ha fatto comprendere alla macchina il senso delle lettere cosicché, a prescindere dalla lingua, l’algoritmo riesce a riconoscere quei caratteri che un cervello percepirebbe come “lettere”.

Fatto ciò l’algoritmo si è dimostrato capace di replicarle, ma anche di inventarsi delle lettere tutte sue, basate su quello che è il concetto che ha imparato di “lettera” e di conseguenza di “alfabeto”, in quello che è un primo esempio di creatività derivata dall’esperienza. Siamo lontanissimi dalle avanzatissime macchine immaginate da Asimov, ma non possiamo che restare comunque impressionati.

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