Ospite del terzo incontro de “Gli Incontri di Valore”, il salotto letterario di Nicola Ruocco, il regista, sceneggiatore, produttore, scrittore e giornalista Enrico Vanzina che ha regalato ai presenti grandi sorrisi ed emozioni raccontando semplicemente di sè e della sua famiglia.La presentazione del suo ultimo libro “Il cadavere del Canal Grande” edito da HarperCollins è stata l’occasione per scoprire un uomo che è un fiume in piena.
“Amo raccontare, ma per raccontare occorre saper ascoltare.
E’ quando si ascoltano le persone che s’impara a raccontare, che s’impara a fare il cinema.”
Dalla sua profonda amicizia con Ennio Flaiano, a quella con il Principe De Curtis e con Alberto Sordi, fino ad arrivare a Carlo Verdone.Una vita piena di bellezza, offerta innanzitutto dalla cultura.
“Devo ringraziare mio padre che, anzichè portarci a trascorrere vacanze in località amene, ci portava nei musei.
Mio padre continuava a dire a me e a Carlo: “Il cinema sarà la vostra fregatura”, ma per fare cinema occorre essere colti.Oggi sento una grossa responsabilità nei confronti della mia famiglia.
Di quella che possiamo chiamare “Pizzeria Steno-Carlo-Enrico”, è rimasto solo Enrico…e devo far tutto da solo.”
“Scrivere serve a sconfiggere la morte”
“Credo di essere una sorta di Benjamin Button.Sono nato vecchissimo e via via sto diventando giovane.
Quand’ero “vecchissimo”, all’età di 17 anni, rivolsi ad Ennio Flaiano una domanda ingenua che ancora mi perseguita.Gli chiesi: “A cosa serve scrivere?”.
Ora so a cosa serve scrivere.Serve a sconfiggere la morte.
Se, ad esempio, nel 2050 una ragazza si trovasse a casa della nonna e sfiorando con la mano una libreria tirasse fuori un libro e quel libro fosse “Il Cadavere del Canal Grande”, sarei riuscito a sconfiggere la morte”.
Vanzina alla fine dell’incontro ha invitato i presenti in sala a coltivare sempre e comunque la Felicità.
“Sono felice di essere qui perchè al Sud, più che altrove, si comprende meglio quel modo di intendere la vita che unisce destino ed ironia, quel desiderio di trovare anche in una tragedia un attimo di comicità.C’è un mantra che ripeto spesso a me stesso.
E’ una frase di Jacques Prévert: “Dovremmo cercare di essere felici, se non altro per dare il buon esempio”.
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