Il libro di Giuseppe Berta, “Che fine ha fatto il capitalismo italiano” di 150 pagine, edito dalla Casa Editrice il Mulino ed acquistabile al prezzo di 14 euro, mette in rilievo che l’Italia è precipitata in una realtà in cui sono diminuiti i margini di autonomia., ancora più stringenti per una compagine economica che non può essere ricondotta ad un assetto, ad un modello dai contorni precisi.
Un tempo il capitalismo del nostro paese nell’economia ma oggi è cambiato tutto, l’economia non è più florida come nel dopoguerra.
Pertanto sulla base di quanto riportato nel testo ci chiediamo:
Allora cosa resta del capitalismo italiano?
Resta poco sulla base dell’architettura storica del sistema delle imprese.
Oggi prevale ancora il senso di perdita per un senso di capitali industriali, che offusca la visione di una possibile riorganizzazione complessiva dell’industria italiana, e per ragionare nelle sue piattaforme e sulle possibili costruire per esse una base omogenea di sostegno, occorre un ‘passaggio che può avvenire soltanto dopo aver sgombrato il campo di quanto permane di un passato in cui non ci si può riferire per tale scopo.
Comunque il capitalismo italiano deve riavere il ruolo propulsore di una volta per far ripartire la nostra economia anche grazie ad una politica di investimenti per favorire l’occupazione giovanile.
Uno degli argomenti oggetto di analisi del libro è la nascita ed il ruolo che ha avuto nel corso degli anni quale ancora di salvezza per molte aziende in crisi del nostro paese e dell’ENI altro ente di vitale importanza.
Purtroppo l’IRI ha cominciato a declinare negli anni 70 ed è stato soppresso circa 15 anni fa.
Davvero un peccato in quanto se l’IRI avesse continuato ad avere il ruolo propulsore di un tempo chissà, forse la nostra economia avrebbe avuto un altro indirizzo.
Pensiamo all’Ilva di Taranto sommersa da una montagna di debiti e del polo dell’acciaio di Piombino il cui destino è legato al processo di acquisizione algerino.
Il libro scritto con un linguaggio fruibile al lettore è molto invitante alla lettura e offre importanti spunti di riflessione su un problema conclamato da diversi anni e che rischia di impantanarsi in una “palude” senza alcuna ancora di salvezza.