“La Compagnia delle Illusioni” di Enrico Ianniello, recensione


“La Compagnia delle Illusioni” di Enrico Ianniello è stato il mio compagno di viaggio. L’ho acquistato in una libreria della riviera romagnola, e l’ho letto tutto durante il viaggio di ritorno a Napoli. E’ un romanzo che va giù come un bicchiere d’acqua. Diverte ed emoziona. Invita alla riflessione. Commuove.

“La Compagnia delle Illusioni” di Enrico Ianniello (Feltrinelli)

La Compagnia delle Illusioni è un gruppo di attori che vengono assoldati per recitare ruoli in situazioni vere, un modo per distorcere la realtà e vendere illusioni.

Antonio Morra vive a Napoli con mammà e sua sorella Marì. Antonio ha quasi 50 anni. Il suo desiderio era quello di fare l’attore, ma la sua carriera si limita ad un unico ruolo importante in una serie tv.  Oltre a dirigere una compagnia di teatro amatoriale, Antonio non ha altro; ha perso la sua amata Lea e la bimba che lei portava in grembo. La morte di Lea ha interrotto tutti i sogni di Antonio rendendolo apatico. E’ per questo che finisce per unirsi alla segretissima Compagnia delle Illusioni assumendo il nome di ‘O Mollusco.

‘O Mollusco interpreta mille ruoli entrando nella vita degli altri. La realtà così muta in base al copione di volta in volta recitato, ma Antonio non si accorge che l’illusione pian piano sovverte anche la sua realtà.

“Le persone non vedono ciò che è vero, ma rendono vero quello che desiderano vedere”.

 

Recensione

Quella di Ianniello è una storia surreale (o quasi) che al contempo costituisce una lente di ingrandimento sulla vita reale. Siamo o non siamo tutti attori? Lo eravamo già prima del’avvento dei social. Dai nostri genitori avevamo appreso “il senso del decoro”. Mai mostrarsi fragili, perdenti, in difficoltà. Testa alta e finzione. “Va tutto bene!”.

Da buon napoletano, Ianniello racconta una storia straziante con ironia e sentimento, arricchendola del linguaggio dialettale. Da abile narratore, Ianniello dosa sapientemente toni incalzanti, colpi di scena e pause di riflessione, rendendo fluida e piacevole la lettura.

La sera del compleanno di mamma, il 3 luglio, la passammo in pizzeria, come sempre. Era la nostra piccola tradizione familiare; io – l’uomo di casa – invitavo a cena a lei e a Maria. Mettevo una bella cammisella bianca, fresca fresca, perchè a mia madre piaceva vedermi così, diceva sì sempe ‘nu bellu giovane, comme a tuo padre, prendevamo un taxi sia all’andata che al ritorno e andavamo a mangiare la pizza sul mare.

Antonio Morra fuggendo da sé stesso diventa O’ Mollusco. Interpretando ruoli da attore unico, mette in scena personalità che non gli appartengono. Antonio “sopravvive” nella finzione convincendo se stesso che il lavoro della Compagnia, quello di entrare nelle vite degli altrI per fare in modo che “il fiore dell’illusione produca il frutto della realtà”, sia un lavoro pulito, quasi una missione.

“Voi non dovete prendervi così sul serio. Ecco tutto. Voi dovete danzare sulla vita, dovete cantare, dovete recitare. Dovete giocare. Se voi giocate siete forte, bello, furbo, affascinante. Quando volete fare sul serio diventate antipatico, borioso pesante, perfino maldestro, insomma: ‘nu scassacazzi mai visto. Invece siete bello quando giocate. E’ da un po’ che vi tengo d’occhio, da quando un’amica insistette per farmi venire a vedere una delle vostre penose commedie amatoriali.”

Si avvicinò moltissimo alla mia faccia, con gli occhi nei miei, quasi potevo mordicchiare l’altro capo della radice di liquirizia.

“Capito Antò? Basta cominciare a giocare. Tanto ormai, che tenete da perdere?”

Poi girò la testa da un lato e tirò giù con un gesto vigoroso il collo della maglia, scoprendo la parte alta di un seno ancora florido, pieno, e una pelle inaspettatamente abbronzata e liscia. Mi ci sarei tuffato volentieri, in quel seno, per trovare un po’ di pace.

Appena sotto il collo, c’erano tatuate due parole:

In Ludere

Le lettere, nella parte inferiore, prendevano la forma di radici mentre un albero frondoso sormontava la scritta.

“Ecco da dove viene la parole illusione., Anto’: in ludere, essere nel gioco. Nel gioco nasce tutto, dal gioco nasce tutto. Adesso vi ci vuole un nome in codice”

E sputò a terra l’ultimo pezzo lucido e stopposo di liquirizia masticata.

Così mi sentivo pure io.

Enrico Ianniello racconta lo stato di veglia della nostra società composta da tanti (troppi!) pseudo attori alla ribalta, desiderosi di ricevere costantemente approvazione ed acclamazione. La finzione è una trappola. Recitando il ruolo che più ci aggrada, finiamo per ingannare noi stessi, allontanandoci da ciò che realmente siamo. Il paradosso sta proprio in questo: occorre proteggersi da se stessi. Possiamo proiettare il più bello dei film, ma la realtà va avanti. Non si ferma a guardare il nostro bel film.

 


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