L’arte di essere nessuno – il romanzo di Federica Pace


L’arte di essere nessuno – Un viaggio dentro e fuori se stessi per parlare di identità di genere, malattia, disabilità, amore e morte di fronte al dolore della non accettazione.

Federica Pace, classe 1989, di origine siciliana, è l’autrice del libro, di recente pubblicazione, L’arte di essere nessuno, edito da Robin Edizioni. Un romanzo permeo di verità che apre all’ attenzione, alla conoscenza, alla riflessione. Le tematiche trattate – identità sessuale e di genere, la malattia degenerativa, la dipendenza affettiva – sono delicate, poco conosciute, e, o poco argomentate. Ed è per questo, e nonostante ciò, che l’autrice Pace, sceglie, sapientemente, di redigerlo nella forma diario che, ben si colloca al lessico esposto. Fresco, diretto, ritmato. Federica espone dipendenze affettive, sconfitte, vittorie, psicosi, ossessioni, riflessioni. Tutto il variegato, tormentato e nebuloso mondo del passaggio all’ età adulta. In mezzo la malattia, dapprima la scoperta, la lotta, poi la sconfitta, l’adattamento e infine, la convivenza. In questo microcosmo, due donne: Asia e Sophia si offriranno a questo racconto, vestendo i panni, forse, della vera protagonista: Federica Pace. 

“Sophia è malata, perché io sono malata. Sophia è tante cose perché lo sono io e lo stesso vale per Asia. Come ho detto prima, ho dovuto accettare la fine della vita da normodotata – non posso dire di esserci riuscita totalmente – e iniziare una vita da persona disabile a vent’anni dopo che mi è stata diagnostica una malattia degenerativa: miopatia ereditaria a corpi inclusi[..]”

 

L’arte di essere nessuno: un titolo che anticipa un percorso di lettura, impegnativo?
Per me sì, ma io sono lì in mezzo alle parole, quindi non sono molto obiettiva. Magari è impegnativo perché capita a tutti di trovarsi al limite, di non sapere se riusciremo ad uscirne oppure no, in cui sembra che non stiamo più partecipando alla nostra esistenza
Questo libro, parte dalla fine, con l‘ultimo saluto ad Asia, con una frase che lei spesso ripeteva “Si comincia dalla fine”. È mai possibile cominciare da una fine?
Sì, in fondo tutto comincia dalla fine. Non c’è nulla che non inizi dalla fine di qualcosa. Nasciamo quando il tempo di stare dentro nostra madre è finito. Diventiamo adulti quando non è più tempo di essere bambini. I rapporti cambiano perché la struttura che avevano in precedenza non va più bene. Io stessa ho dovuto iniziare una vita diversa e nuova perché quella da “persona sana” era finita.
Una teca è quello che rimane di Asia, dopo il suo suicidio. I suoi ricordi, che qualche giorno prima raccoglieva e sistemava nella vetrinetta. Un regalo ai posteri, un invito a riflettere o una condanna perenne alla memoria? Di lei in questo caso?
Per Sophia quella vetrinetta è una condanna, per Asia è un modo per salvare sé stessa, quello che considera così importante da doverlo conservare. Un po’ come se dicesse: “vi dico cosa ricordare, vi dico io dove mi potete ritrovare. Sono lì dentro, quando volete, quando avete bisogno” ma Asia non lo fa per gli altri, lo fa per sé stessa.
L’arte di essere nessuno. Torno sul titolo perché è un pugno allo stomaco, ti sveglia come un caffè a digiuno. Si può essere nessuno, nel senso più totale del termine? Non lasciare nessuna traccia, è veramente possibile? Arte: perché impresa titanica?
Credo che si possa essere nessuno per sé stessi e credo che molto spesso solo gli altri che danno una mano. Ma se qualcuno ci riconosce dandoci un “nome”, ci riempie per forza di significato ed esistere è inevitabile. In questo caso cancellarsi non si può. Asia infatti si svuota, non cancella. Esisterà più di quanto si sarebbe aspettata. A volte quel nome può essere terribile e può condannarti a una esistenza non voluta. Per poter scegliere il proprio nome, di che significato riempire il proprio contenitore credo ci si debba svuotare, ed è una impresa titanica, perché poi arriva il momento della ricomposizione lasciando fuori quello che non si vuole. Nel momento in cui si è vuoti, si è nessuno.



E se sei così abile da essere nessuno, dunque: sei qualcuno?
Se sei abile a essere nessuno sei sicuramente abile ad essere qualcuno ma decidere di liberarsi di certe parti di sé, accettare dolori, traumi, rielaborare, evitare inconsapevoli ripercussioni sugli altri, rimettere di nuovo tutto dentro sé stessi ripulito, ha il suo prezzo almeno all’inizio.
Sei una giovane scrittrice e il tuo percorso di vita fino ad oggi, ti marca come tenace, volitiva, motivata. Sophia è malata. Ci parli di lei?
Sophia è malata perché io sono malata. Sophia è tante cose perché lo sono io e lo stesso vale per Asia. Come ho detto prima, ho dovuto accettare la fine della vita da normodotata – non posso dire di esserci riuscita totalmente – e iniziare una vita da persona disabile a vent’anni dopo che mi è stata diagnostica una malattia degenerativa: miopatia ereditaria a corpi inclusi. Sophia crede di aver finito tutto, al confine tra una vita e l’altra, si adagia su sicurezze socialmente accettate perché così è più semplice. Stringe la propria autonomia fin quando può perché conosce la propria condizione e non sarà sempre uguale. Ogni anno ha capacità in meno, un tipo di vita finisce e un’altra inizia, ogni anno. Asia è la goccia che fa traboccare il vaso e lei non ha più scelta. Fare finta di essere qualcuno che non si è, in fondo è essere
Protagoniste del romanzo due giovani donne, come l’autrice. Quanto c’è di te in Sophia? E in Asia?
Abbastanza, forse tutto. Le due facce di una stessa medaglia che a volte si sovrappongono. Asia è dura, fredda, è sveglia, guarda quello che c’è da guardare. Sophia non guarda quello che le fa male e pur di non vedere diventa fredda come Asia. Sophia ha più paura, non sopporta guardare Asia che mette oggetti in una vetrinetta, Asia vuole che guardi. Sophia si scompone e ricompone, esce dall’Io per tornarci quando riesce a pronunciare il proprio nome. Non credo che possano esistere l’una senza l’altra. Asia obbliga la mia parte “Sophia” ad aprire gli occhi. Sophia obbliga la mia parte “Asia” ad essere qualcuno.
Perché decidi di scrivere L’arte di essere nessuno?
Mi è stato dato un input e ho deciso di scoprire che figlio sarebbe nato alla fine.

 

 

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