Miriam Candurro non è solo l’amatissima protagonista della soap cult di Rai 3 “Un posto al sole”; è anche l’autrice di romanzi accolti con grande entusiasmo.
“La settima stanza” edito da Sperling & Kupfer, é il suo ultimo romanzo, una storia avvincente, a tratti feroce; una storia d’amore lontana da quelle a cui siamo abituati, fatta perlopiù di direzioni opposte e di grandi attese. Protagonisti della storia non solo due cuori innamorati, ma anche una spaventosa omertà con la quale gli abitanti di un piccolo paese si fanno scudo.
Per la rubrica UN AUTORE AL MESE, abbiamo avuto il piacere di perderci in una piacevole chiacchierata con Miriam Candurro.
Miriam Candurro: “Riguardare il passato, in particolare la fase dell’adolescenza, apporta nuove consapevolezze”.
- Quella di Giovanni e Anna è una storia d’amore speciale che va oltre il tempo e le distanze. Una storia d’amore viva e al tempo stesso inaridita dagli eventi vissuti da entrambi. Come nascono questi tuoi due personaggi?
Il personaggio di Anna nasce da un fatto di cronaca letto online. Mi aveva sconvolto immaginare una ragazza così giovane in balia di eventi molto più grandi di lei. Avevo provato ad immedesimarmi nella sua solitudine, nella sua impossibilità di fidarsi delle persone a lei più vicine. Con Giovanni volevo raccontare la storia di un amore che resiste al tempo. Quando ho affiancato le due storie mi sono ritrovata a capire che stavo raccontando la stessa vicenda da due punti di vista diversi.
“Un giorno ci verrà ridato tutto il tempo perso, i baci che non ci siamo dati, i tramonti che non abbiamo visto insieme. Verrà il giorno in cui ci perdoneremo le vite vissute, le scelte fatte, le fughe in direzioni opposte. Fino a quel giorno io ti aspetterò qui, nella nostra stanza a picco sul mare”
- Il romanzo alterna i pensieri di Giovanni a quelli di Anna ed è attraverso i loro pensieri che il lettore riesce a ricostruire pagina dopo pagina l’accaduto. Ho avuto l’impressione, soprattutto nella prima parte, che tu dessi maggiore spazio ai pensieri di Giovanni. Come mai questa scelta? E’ forse una percezione sbagliata la mia?
E’ assolutamente vero. Giovanni è l’attore principale, colui che agisce, che si muove. Di Anna leggiamo un racconto, il cui valore e la cui collocazione temporale si chiarirà agli occhi del lettore solo nelle ultime pagine.
- Quali sono stati i primi feedback? Come è stato accolto questo tuo secondo libro?
Mi hanno parlato di scrittura più matura, più consapevole. Il romanzo piace ad un pubblico trasversale, sia a chi lo legge curiosamente perché mi segue come attrice, sia a chi non mi conosceva e lo legge come si fa con un libro d’esordio vero e proprio.
- Il tuo primo libro è stato “Vorrei che fosse già domani” (Garzanti) scritto a quattro mani con Massimo Cacciapuoti. Anche Paolo e Cristina, i protagonisti di “Vorrei che fosse già domani”, proprio come Anna e Giovanni possiamo definirli dei “sopravvissuti” che, prima o poi, si ritrovano a fare i conti con il passato. Una coincidenza o un tema da te molto sentito?
Amo molto il periodo dell’adolescenza, quello in cui ci stacchiamo dal cordone ombelicale familiare e in potenza potremmo diventare qualsiasi cosa. Quella fase della vita è cruciale, disegna i tratti di chi saremo da adulti. E riguardare il passato, quella fase in particolare, da adulti, porta in noi nuove consapevolezze.
- Chi dovrebbe leggere “Vorrei che fosse già domani” e chi “La settima stanza”, e perché?
“Vorrei che fosse già domani” è dedicato a tutti gli adolescenti che non trovano un loro posto nel mondo. “La settima stanza” invece è dedicato a quegli adulti che credono nelle seconde possibilità, a quelli che almeno una volta si sono chiesti “e se fosse andata diversamente..?”
“Chissà cosa sarebbe successo a me, a tutti noi, se quella sera del 15 giugno 1998 fossi stato in qualsiasi altra parte, non lì, con la fronte appoggiata alla vetrata della settima stanza”
- Ti conosciamo tutti come attrice, oltre che in veste di autrice. Qual è il filo che unisce la scrittura alla recitazione nel tuo caso?
Le emozioni. Nel caso della recitazione, lascio che le emozioni che sento attraverso un personaggio vengano fuori sul viso, negli occhi. Con la scrittura, faccio lo stesso percorso di immedesimazione e di scoperta delle emozioni, ma poi devo “tradurre” in parole le emozioni che ho sentito. In qualche modo la scrittura è creatività pura, la recitazione è creatività al servizio di personaggi non inventati da te.
- In un’ipotetica trasposizione cinematografica chi vedresti nei panni di Anna e chi nei panni di Giovanni, da ragazzi e da adulti?
Non riesco proprio ad immaginare i miei due personaggi con volti diversi da quelli con cui li avevo “in testa”. Sicuramente mi piacerebbe scoprire attori nuovi per i “ragazzi” Giovanni e Anna, dare loro l’opportunità di confrontarsi con due personaggi non semplici da raccontare.
- Cosa sogna Miriam Candurro?
Sogno tante cose, davvero troppe. Per me, la possibilità di non disperdere l’energia e di incanalarla sempre in progetti che possano far stare bene me e gli altri. Per i miei figli, che possano lanciarsi nel mondo con la tranquillità di avere me a sorreggerli. In generale, che ognuno possa avere almeno una volta nella vita la possibilità di mettersi in gioco in quello che ama, portare avanti un progetto che immagina da tempo.
- Progetti futuri?
Sicuramente un nuovo romanzo, con i tempi biblici tra un set e l’altro. Poi sto girando la quarta stagione de “I bastardi di Pizzofalcone” e un film di un giovane regista esordiente molto molto bravo. Sarà un 2023 pieno di nuovi progetti.