STORIA DI ANTONIA.VIAGGIO AL TERMINE DI UN MANICOMIO


Storia di Antonia. Viaggio al termine di un manicomio” di Dario Stefano Dell’Aquila e Antonio Esposito è uscito ad ottobre per la casa editrice Sensibili alle foglie.

L’ex ospedale psichiatrico della Maddalena ad Aversa, sito di ricoveri, dolore e morte, luogo legittimo per dare voce alla storia di una donna internata. La sua sofferenza come quella di tanti si è levata alta negli spazi del chiostro di San Bernardino.  Con gli autori erano presenti il dottor Nicola Cunto, Direttore del Centro studi “Le reali case dei matti”, Anna Gioia Trasacco, rappresentante comitato “La Maddalena che vorrei” e il dottor Giuseppe Ortano, rappresentante Psichiatria Democratica e direttore UOSM 23 dell’Asl di Caserta.

Storia di Antonia. Viaggio al termine di un manicomio. Il libro

Un lavoro durato due anni, un libro inchiesta in cui gli autori con meticolosità narrano la vicenda assurda di Antonia Bernardini, donna forte e fragile, il bianco e nero di una vita gravida di sofferenze e privazioni. Una lotta continua all’affannosa ricerca di una serenità negata durante tutta la sua esistenza, costellata di sofferenze, disagi economici, sociali e psichici, culminata nel gesto estremo di incendiarsi nel letto di contenzione dove era relegata da 43 giorni.
Antonia è la protagonista di una storia di lotta, sì perché nonostante i disagi e le difficoltà in cui era cresciuta, combatterà come potrà fino a quando esalerà l’ultimo respiro. Una vita che da subito si mostrerà ad Antonia, nelle sue tinte più cupe col primo ricovero avvenuto all’età di sedici anni. La diagnosi: stato di eccitamento.
Da lì un lungo interminabile iter di ricoveri, alcuni volontari, elettroshock, neurolettici, camice di forza, letti di contenzione, intervallati qua e là dalla speranza di costruirsi una famiglia; si sposerà giovanissima, diverrà madre, il marito anch’egli giovane cercherà di aiutarla come potrà – poi lascerà lei e la figlia nel ’72 – e così il fratello. Ma il fato, la burocrazia, sono lì in agguato, giudici severi e senza cuore. E un banale litigio davanti alla biglietteria della Stazione Termini di Roma nel settembre del ’73, segnerà gli ultimi 15 mesi di una donna fortemente aggrappata alla vita.
Il giudizio morale predominante su quello etico, sia degli uomini di legge che dei medici, proclamerà che la sua vita debba fermarsi su un letto di contenzione nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Pozzuoli il 31 dicembre del 1974, all’età di 40 anni. Le sue ultime dichiarazioni al pubblico ministero nella sala di rianimazione del Cardarelli, saranno:

Sono stata spinta a fare quello che ho fatto perché ero sempre legata [..] C’era una suora che in cambio di tutto quel lavoro forzato, mi ricompensava con giubbotto e punture [..]Ci legavano come Cristo in Croce.

Le persone una volta entrate nell’ospedale psichiatrico perdevano il loro aspetto umano, prenarrava la malattia e su di loro venivano applicati, quasi sempre,  sistemi atti ad abolire la dignità umana. Gli internati dovevano capire chi comandava, e le fascette da passeggio che permettevano di camminare ma inibivano l’uso delle mani, sono solo un piccolo esempio in tal senso. Il controllo fisico della persona ancora prima della cura alla malattia. Son trascorsi oltre quarant’anni da questa vicenda che accomuna a sé, storie di altri letti di contenzione e di altri tristi epiloghi come quello di Francesco Mastrogiovanni avvenuta nel 2009, morto dopo quattro giorni legato a un letto di contenzione a Vallo della Lucania
La storia di Antonia è in sé tante storie, le sopraffazioni ci sono tutte: era povera, scarsa cultura, scarso accesso alle cure, problemi psichici, ed era una donna. Un mix che ieri come oggi genera ancora l’orrore che visse Antonia Bernardini. I manicomi si formano di continuo, ancora oggi, ogni qualvolta non vengono rispettati i diritti delle persone, quando si è convinti di stare dalla parte della ragione.

“Il passato non è morto,  non è nemmeno passato” Christa Wolfe

  • Decidete di parlare di Antonia Bernardini, perché? 

D.S. Dell’Aquila: Abbiamo scelto la storia di una donna perché fosse la testimonianza di migliaia di donne. Perché c’è sempre nei riguardi di una donna, e lo dicono i recenti fatti di     cronaca, il giudizio. Quello morale, sociale precede sempre quello etico. Molestie, violenze di genere sono attualissime.

  • La morte di Antonia Bernardini è un omicidio di stato?

D.S. Dell’Aquila: Sì, anche il caso di Stefano Cucchi e Francesco Mastrogiovanni. Vi è un problema serio di tutela dei diritti delle persone che vengono private della loro libertà, anche per un provvedimento legittimo. Accanto alla privazione della libertà, non deve esserci un altro tipo di sanzione. Lo stato quando prendi in custodia il corpo di un detenuto o di un malato ha un obbligo maggiore, quello di astenersi da qualunque altra violenza possibile.

  • “Ci legavano come Cristo in croce” le ultime parole di Antonia Bernardini. Cosa è cambiato negli ultimi 40 anni?

A. Esposito: Uno dei temi principali è la contenzione fisica, e Antonia lo denuncia così. Ancora oggi negli ospedali pubblici  e nelle strutture residenziali, le persone con sofferenza psichica   troppo spesso sono legate. E dove le persone sono legate, non c’è cura.

  • A che punto è  la situazione oggi ? 

A. Esposito: Nel 2018 saranno 40 anni dalla legge 180, la legge Basaglia; è stato un passaggio fondamentale perché finalmente si sono chiusi i manicomi civili, da qualche anno anche i  manicomi criminali. Resta però una logica e una prassi troppo spesso di tipo manicomiale. Questo è quello che bisogna ancora superare.

 

foto: Angela Garofalo

 

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