Storia di un (quasi) amore in quarantena (Graus Edizioni) – Intervista all’autore


Storia di un (quasi) amore in quarantena, edito da Graus Edizioni, è il romanzo d’esordio del giornalista napoletano Davide Gambardella. Il libro, un instant book, è la cronaca di un amore nato ai tempi del lockdown, un amore che infiammando e travolgendo i protagonisti, li spinge a compiere atti ai limiti della legalità. Essi, infatti, pur di condividere preziosi attimi di intimità, sfidano le restrizioni imposte dal governo in quei giorni.

Storia di un (quasi) amore in quarantena (Graus Edizioni)

Una lettura scorrevole, un occhio puntato in un appartamento di Tor Bella Monica dove le giornate dei protagonisti si riempiono del desiderio di “avere una vita”, quella che, bruscamente e brutalmente, è stata interrotta dal virus. Pagina dopo pagina Gambardella incalza; il crescente tono narrativo ed il numero esiguo di pagine infervora il lettore tanto da spingerlo a leggere il libro tutto di un fiato.

“Le ore del mattino erano le più facili da affrontare perchè le buone intenzioni sono un po’ come lo zucchero che si scioglie lentamente nel caffè, sono dolci e vigorose.”

Storia di un (quasi) amore in quarantena

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Davide Gambardella: “Una storia scritta di getto, in pochi giorni”

Abbiamo avuto il piacere di intervistare l’autore. Napoletano di nascita, Davide Gambardella vive da anni a Roma dove svolge la sua attività di giornalista e dirige la rivista web “Non solo nautica”.

  • Buongiorno Davide e grazie per la tua disponibilità! Dopo aver letto il libro che ti consacra scrittore, mi è nata immediatamente una grande curiosità. Quello descritto nel libro è stato il tuo lockdown?

No, in realtà non sono così spregiudicato. Anzi, durante il lockdown mi ha colpito un’insolita forma di ipocondria, che non fa parte del mio carattere. Uscivo pochissimo, leggevo molto, seguivo le notizie drammatiche di quei giorni. Avevo paura, come tutti.

‘Storia di un (quasi) amore in quarantena’ è stato un modo per esorcizzare quella paura. Scrivere, in fondo, è una terapia come altre. Credo che quello descritto, però, sia stato il lockdown di molti, una storia verosimile. La storia di chi ha scelto di aggirare tutte le varie ordinanze che gli vietavano di vedere la persona amata, perché magari le trovavano opprimenti, ridicole, o semplicemente perché non volevano rinunciare al proprio amore. Il racconto è volutamente grottesco, lo stile ricorda il realismo sporco degli scrittori americani; in quei giorni, ho riscoperto il piacere di leggere Bukowski, e mi son detto “Beh! Un periodo così ricorda le sue storie di ordinaria follia”.

‘Storia di un (quasi) amore in quarantena’ è il diario di un giornalista napoletano, il mio alter ego, che s’innamora di una giovane donna e sfida le leggi del lockdown per non lasciarsela sfuggire. È un incosciente, più che un coraggioso: uno che detesta aspettare il tempo sospeso, che vuole sfuggire alla noia a tutti i costi. Cose che non dovrebbero spaventare, anzi, che dovremmo attraversare almeno una volta nella vita, senza far nulla, lasciando scorrere dolore e paure. I due protagonisti di questo libro non riescono a farlo e, spinti dalla passionalità, decidono di non sottostare alle regole calate dall’alto e di vivere la loro storia clandestina, a tratti adolescenziale, ma tutto sommato romantica.

  • Ciò che mi è piaciuto particolarmente del tuo libro è stata la descrizione della moderna “caccia alla streghe”. Ti sei sentito in qualche modo etichettato come potenziale untore durante il lockdown? 

Credo di aver rispettato quasi tutte le regole. Mi mettevo però nei panni di chi era finito nel mirino dei delatori. Credo sia assurdo definire ‘untore’ chi sceglie di fare una corsetta intorno al vicinato: basta essere prudenti, tutto qui. Eppure è stato fatto, e non solo con i runners.

Paradossalmente, mi sono sentito messo alla gogna dopo il lockdown, perché quest’estate ho scelto come molti di fare le vacanze all’estero. Tornato in Italia, mi sono subito sottoposto al tampone: risultato negativo. Epperò, in molti se la son presa con chi ha viaggiato, con chi è stato all’estero, perché “dovevamo-restare-in-Italia”, perché chi è stato in Grecia oppure in Spagna ha portato il covid in Italia. Follia! Un’esagerazione che ha finito per gettare in un enorme calderone anche chi all’estero si è comportato esattamente come si sarebbe comportato in Puglia, o magari in Sardegna, rispettando le distanze e usando la mascherina.

Credo che di esagerazioni ne siano state dette molte, sia durante e sia dopo il lockdown. A mio avviso, sono i comportamenti eccessivi ad essere pericolosi, non un viaggio o andare a correre. Nel mio racconto ce ne sono, di comportamenti così, ma è un’idea di evasione che credo renda bene.

“La caccia alle streghe nell’anno domini 2020, Per primi sul patibolo finirono i runners. Poi ci andò di sotto chi andava a spasso col cane. E persino chi intendeva portare in giro i propri figli.”

“Dalle finestre, gli occhi dei vicini moralizzatori scrutavano quelli che venivano etichettati come pericolosi trasgressori; gli smartphone puntati per immortalare chi non eseguiva gli ordini e le foto pubblicate nei vari gruppi di quartiere in barba alle leggi sulla privacy.”

  • Il libro è molto breve. In sole 62 pagine hai descritto tutte le emozioni vissute durante i mesi del lockdown. Perché questa scelta? Perché non rendere il libro più corposo?

È una cronistoria dei due mesi di lockdown. Una storia scritta di getto, in pochi giorni, ogni volta che c’erano novità sulle riaperture. Volevo essere sul pezzo; dopo tutto non sono uno scrittore, ma un giornalista, un ‘umile operaio dell’informazione’.

Avrei potuto aggiungere colpi di scena, romanzarci ancora su per molto, ma non sarebbe stato verosimile e coerente col breve periodo trascorso in isolamento. L’ambientazione è tra le quattro mura domestiche: i protagonisti non avrebbero potuto concedersi particolari svaghi, non avrebbero potuto incontrare altre persone. L’unica con cui hanno rapporti, diventa fondamentale per il colpo di scena finale del racconto. I protagonisti quindi impiegano il loro tempo alla meglio. Coltivano passioni, leggono, fanno sesso di continuo, fumano canne e si ubriacano, perché no.  È stato come mettere sotto la lente di un microscopio quello che più o meno hanno fatto tutti, durante la quarantena. Amplificare virtù e, in particolar modo, vizi.

“Non credo sia così facile, oggi, definirsi stabili in amore”

  • Nella prefazione del tuo libro Enrico Parolisi parla della generazione dei nati negli anni ‘80. “E’ una generazione particolare, quella italiana che oggi annovera uomini e donne, professionisti, a cavallo tra i 30 e i 40. E’ orfana persino di una definizione” – scrive Parolisi. In cosa differiscono i nati negli anni ’80 dalle altre generazioni?

Gli ideali e le condizioni economiche sono cambiati. Siamo la generazione che vive nella società liquida, senza punti fermi. Non esiste lavoro stabile, il posto fisso. Anche la famiglia non è più un baluardo: le coppie si separano più facilmente, le relazioni non sono più stabili come un tempo. Chi è nato qualche anno prima, magari, ha goduto di una maggiore stabilità lasciata dalla generazione precedente. Ecco perché, nel mio racconto, c’è una riflessione sui cosiddetti affetti stabili, quelli a cui il decreto della fase 2 avrebbe concesso di rivedersi: non credo sia così facile, oggi, definirsi stabili in amore. Nemmeno nelle relazioni. Le cose possono cambiare, finire. Gli amori possono divenire quasi amori.

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Book/Food/Good

  • Oltre alla passione, altra protagonista del tuo libro è la cucina italiana. Si tratta di una tua passione?

In un’altra vita ero un cuoco. Prima di iniziare la carriera del giornalista, ero uno chef di partita in giro per l’Europa. Avevo 19 anni. È un mestiere che mi ha dato tanto e ricordo con piacere quel periodo. Oggi cucino con passione per gli amici. E ritengo sia un’ottima arma di seduzione.

  •  Idem per il vino?

Forse più della cucina. Mi piacerebbe frequentare un corso per sommelier. Ho scoperto di recente la Tintilia molisana, un rosso strutturato, corposo, che pulisce il palato dopo una bella cena a base di carne rossa e formaggi stagionati. La consiglio a tutti.

  • Daresti ai nostri lettori la tua ricetta da “cintura nera della cucina”, la “pasta allardiata”?

Il segreto sta nell’allacciare l’aglio con il lardo di colonnata. Già, cosa significa “allacciare”? E’ un vecchio termine napoletano. Mi spiego. In pratica, consiste nel ridurre a poltiglia il grasso del maiale, per poi incorporarci l’aglio che abbiamo tritato in precedenza. Per farlo, bisogna prima trinciarlo e poi schiacciarlo, fino a ridurlo come una pomata. Questa poltiglia deve poi soffriggere in pochissimo olio extra vergine d’oliva. Non bisogna esagerare con l’olio, mi raccomando. Solo quando il preparato sarà leggermente imbiondito, bisognerà aggiungere pomodorino rigorosamente del piennolo. Una buona spolverata di pecorino romano, qualche foglia di basilico e buon appetito!

…solo a leggere viene l’acquolina in bocca. Grazie mille Davide!

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Storia di un (quasi) amore in quarantena

Storia di un (quasi) amore in quarantena

di Davide Gambardella (Graus Edizioni).

Buona lettura!

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