The biggest game in town


Quando uno scrittore, poeta, saggista e critico letterario vola a Las Vegas per scrivere della sua grande passione, il poker, non può che nascere un libro come The biggest game in Town.

Siamo nel 1981 e Al Alvarez ha alle sue spalle una carriera da critico e saggista. Ha scritto  di un po’ di tutto affrontando con spirito critico i tempi più disparati, dall’insonnia al divorzio. Personaggio dotato di una grande curiosità e di una passione che non ha mai nascosto, il poker, decide allora di condividerla con i suoi lettori. Prima ancora di essere un libro, The biggest game in Town vede la luce come racconto a puntate pubblicato sul The New Yorker per diventare nei mesi successivi una delle opere più appassionanti sul celebre gioco. Quando nel Maggio del 1981 Alvarez prende l’aereo ha una meta ben precisa in testa, questo luogo è Las Vegas perché se di poker si vuole parlare quello è il posto adatto. I tempi attuali hanno visto affermarsi sulla sena pokeristica internazionale tornei in Asia e in Sudamerica, ma negli Ottanta Las Vegas era la meta indiscussa per chi voleva conoscere in profondità il mondo del poker e i personaggi che ne facevano parte.

Non è di certo un manuale alla David Sklansky, il matematico statunitense appassionato di poker che ha messo sulla carta strategie e calcoli matematici sulle probabilità per fornire ad altri giocatori le risorse necessarie per battere gli avversari. “The biggest game in town” non è neppure un romanzo sul modello de “Il giocatore” di Dostoevskij in cui l’autore indaga attraverso il gioco della roulette le passioni e gli umani istinti.

Al Alvarez si inserisce nella scia della tradizione anglosassone del reportage dove elementi biografici, informazioni pratiche e descrizioni di luoghi e personaggi sono tenuti insieme da una narrazione romanzesca che accompagna il lettore.

Ecco allora che le diverse varianti del gioco prendono vita, sotto forma di testa a testa contro il croupier come nel texas hold’em giocato nei casinò, così come in sfide tra personaggi sconosciuti e campioni del poker che hanno contribuito a creare il mito di Las Vegas, descritti dall’occhio implacabile di Al Alvarez. Questi entra che ed esce dal racconto: a volte giocatore a volte narratore. Il fascino del libro sta proprio nella capacità narrativa dell’autore di avvicinare il lettore, appassionato di poker o meno, a questo gioco.

Il reportage si riempie allora di personaggi leggendari come Jack Strauss. Un gigante passato alla storia per una celebre mano in cui portò avanti un bluff incredibilmente creativo che gli permise di vincere contro il suo avversario nonostante delle pessime carte. C’è poi Stu Ungar, uno dei giocatori di poker più forti al mondo e conosciuto per le sue straordinarie capacità mnemoniche. E che dire di quel Johnny Moss protagonista di una delle partite più celebri della storia: un interminabile sfida durata oltre cinque mesi contro Nick Dandalos e che vedrà quest’ultimo sconfitto dopo aver pronunciato una frase entrata nella leggenda. “Signor Moss, devo lasciarla andare”.

Nel suo libro Alvarez ci porta in un mondo ormai scomparso, in una città, Las Vegas, che nonostante i suoi settant’anni è ancora parte di un immaginario collettivo attorno a cui ruotano storie indimenticabili. L’autore ci dà testimonianza di come una simile leggenda sia nata, oltre a dare vita ad un libro che è omaggio ad uno dei giochi di carte più famosi del mondo.

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