Il festival di Sanremo e la sua liturgia


L’edizione  del 2014 del festival di Sanremo inizia sotto la stella della contestazione dei due lavoratori campani, accompagnata dagli sguardi attoniti dei conduttori. Anche questo sta diventando un classico della manifestazione canora, da sempre vetrina musicale dei talenti nostrani.

I primi quindici minuti sono sembrati a chi scrive i più impegnativi per Fabio Fazio e Luciana Littizzetto, assai contratti più che emozionati. L’entrata alla Wanda Osiris dell’attrice piemontese ha ricordato ad un paese stanco, avvilito e in grosse difficoltà finanziarie, che Sanremo è questo: lustrini, piume e musica. Inutili, pertanto, le polemiche sui cachets dei due presentatori a fronte di un paese in crisi; in realtà è lo stesso paese i cui cittadini, al bar, commentano il giorno dopo la presenza di artisti ed ospiti, pur non essendo inseriti in alcuna giuria.

Più comprensibili, invece, le critiche mosse alla scenografia, con i monolocali per l’orchestra divisa in fiati archi e percussioni (che sembra l’unico accenno silente ad una nazione che tenta di ricostruire se stessa), con porte che nessuno ha tinteggiato e con una sistemazione delle luci tale da impedire un contatto più diretto del palco col pubblico.

Gli artisti in gara la prima sera hanno presentato due canzoni che hanno sottoposto al giudizio del televoto, il quale ha, inevitabilmente, prediletto quelle più squisitamente sanremesi, cioè più in tono con lo standard della kermesse.

In quest’ottica si comprende perché sia passata alla fase successiva una canzone come “Pedala” di Frankie Hi NRG, anche in considerazione del fatto che “Un uomo è vivo” rappresenta quanto di più lontano si possa proporre al Festival.

Non tutti, infatti, posseggono nelle loro corde la capacità di Lucianina Littizzetto di recarsi in terra ligure per recitare sé stessa: autoironica per natura, disturbatrice per mestiere, dissacrante per vocazione. Lei non va a Sanremo per fingere di essere qualcun altro, e lo comunica anche dai tacchi improbabili che deve indossare per esigenze di copione, mentre sembra che abbia avuto più voce in capitolo per quel che riguarda l’abbigliamento. Paillettes e sete, per lei, elegante ma senza inutili sfarzi, così come impeccabile è stata una signora della Canzone come Antonella Ruggiero, voce e stile senza tempo.

Splendida anche Letitia Casta che ha duettato simpaticamente con un Fazio esistenzialista (buona l’interpretazione di “Ne me quittes pas”) fino all’apoteosi di “Ma ‘n dò…Hawaii”, con i boys e un tacito riferimento ad una delle grandi bellezze italiane: Monica Vitti, sempre più persa nei meandri di una malattia che l’ha costretta a ritirarsi a vita privati da più di dieci anni.

Altri ricordi di quest’anno sono stati Fabrizio De Andrè (Luciano Ligabue e Mauro Pagani eseguono una splendida “Creuza de ma”) e Enzo Jannacci, anche e non solo attraverso la partecipazione all’evento canoro di Paolo, suo figlio, ottimo musicista dotato di discrete capacità di improvvisazione anche recitative. Raphael Gualazzi si presenta e delizia con movenze da Ray Charles, il coro gospel e la sua voce non potente ma speciale. Raffaella Carrà arriva in Liguria per insegnare come si fa televisione, con professionalità, umiltà e impegno personale da circa sessant’anni a questa parte (importante il suo intervento assolutamente di carattere umanitario e non politico sul rientro dei Marò dall’India) e Cat Stevens fa la cosa più giusta, quella che sa fare da sempre: canta uno dei suoi più grandi successi e delizia tutti, pubblico in sala e assonati spettatori a casa.

La prima serata si conclude con Giusy Ferreri, ma ormai siamo già in seconda serata. Gli ascolti bassi di ieri verranno superati da Rocco Hunt e da Renzo Arbore? All’ Auditel l’ardua sentenza.

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