Nell’ambito della rassegna In Vino Musicas torna Serena Pisa nell’enoteca dei Campi Flegrei
Appuntamento fisso e attesissimo, quello dell’interprete campana presso Vineapolis; solito sold out nella serata del 7 ottobre, tavoli prenotati e pubblico in piedi sotto la grotta per questo incontro di note e voce tra la Pisa, il mandolino di Daniele La Torre e la chitarra di Antonio Zuozo che ripropongo -per la gioia del pubblico- “O tiempo d’e cerase”, una raccolta di brani che abbracciano le varie tradizioni musicali del mondo che essi sono soliti frequentare.
Il senso vuole essere quello dei cicli che si ripetono: l’amore, la bellezza, il dolore, la saggezza che scaturisce da tutto ciò torna e viene trasformato in musica. La scaletta ha riservato delle perle come “Preferisco il Novecento” della mai abbastanza apprezzata Ria Rosa, un omaggio alla grandissima Concetta Barra con “Nascette mmiez’ o mare”, tradizione, cultura, politica nella voce e nella presenza scenica della Pisa che ha conquistato il pubblico. E una “Bammenella” che, stavolta, arriva a spiazzare gli estimatori della cantante che attendevano la fine della performance per ascoltarla. Incantevole ed espressiva come sempre.
Il pubblico scalpita per le richieste, ma la Pisa, da consumata artista, tiene fede alla scaletta ed esegue una “Era de maggio” nella quale viene accompagnata dai presenti, tutti non microfonati -neppure la Pisa- e il gruppo si guadagna il primo applauso a scena aperta. Poi, da quell’artista generosa che è, serena lascia il palco ai musicisti, che eseguono “Odeon”, “Fragile” e un brano che è stato ribattezzato per l’occasione “Impro-La minore”, frutto del talento dei plettri, parto di un’improvvisazione sempre meno estemporaneità, sempre più consuetudine.
Il viaggio prosegue con “Stella Diana” di Carlo Faiello, “O nnamurato mio”, “A rumba d’è scugnizzi” e con una carezza sul cuore, data ad un amico che è andato via eppure è sempre nella vita di chi lo ha ascoltato, quel Pino Daniele che ha scritto e cantato la città dei “Lazzari felici” e di “donna Cuncè”, ed è cresciuto con lei, pur liberandosi dello scomodo ruolo del Masaniello. Un omaggio dovuto e assai gradito.