Valerio Jovine si racconta


Un reggae man a teatro

Durante il soundcheck del suo spettacolo teatrale andato in scena al Teatro Bolivar il 19 dicembre, Valerio Jovine, cortese e disponibile, ci ha rilasciato questa intervista:

Perchè questo titolo per un rapper che si esibisce a teatro?

L’ idea è partita da Claudia Foglia (la mia manager), sua è stata la proposta. Io  avevo voglia di raccontare questo viaggio, iniziando dal titolo di questo brano (“Napulitan”, ndr) che, nel corso degli anni, è risultato di grande impatto presso le persone che ci seguono, spesso con un amore sconfinato. “Napulitan” ci ha permesso di rompere delle barriere, visto che il ritornello l’ ho sentito cantare in Campania come a Padova, a Milano e a Torino; non è sempre facile entrare ed accettare l’ identità dell’ altro, vivendo da cittadino del mondo eppure quello che è uno dei nostri pezzi più caratteristici di questi ultimi anni, ha avuto questa forza.

Come nasce la decisione di partecipare a “The Voice” ?

In maniera molto combattuta, osteggiato dalla famiglia (Massimilano, ndr, in particolare) ma anche casuale. Mia figlia era nata da quattro giorni quando la redazione mi ha chiamato per la partecipazione al programma. Ero titubante, in fin dei conti stavo facendo la musica che volevo (vedi il successo di “Sei”) e i concerti con i 99Posse; mi hanno incuriosito, senza dubbio, e l’idea di partire quasi da zero con persone diversissime da me (chi alle prime armi, chi aveva già un suo vissuto musicale alle spalle) e di confrontarmi con loro mi stuzzicava. L’ ambizione di portare la mia musica in più posti possibili mi ha spinto a firmare. Fui l’ ultimo a farlo, dicendo chiaramente che mio fratello e mio padre sarebbero stati con me per tutto il tempo che sarebbe durato il mio viaggio con “The Voice” ma ho continuato, allo stesso tempo,  a suonare con i 99Posse: Zulù (Luca Persico), per esempio, è stato quasi contento quando gliel’ ho detto! Sono arrivato quasi alla fine del programma, senza rendermene conto, una puntata dietro l’altra; ed ho la certezza di aver lasciato qualcosa di me a “The Voice”, perché me lo dimostrano le persone che mi fermano per strada e si complimentano per la mia versione di “Like a Virgin” o piuttosto per “Una carezza in pugno”. Motivo per il quale, anche se sono delle covers, mi piace confonderle e mischiarle in mezzo alla mia musica durante i concerti.

Hai avuto problemi nel corso del programma?

No, perchè siamo stati chiari fin dall’ inizio; avrei fatto musica, ma l’ avrei sempre fatta alla mia maniera: reggae, cappello e polsini, le cose che nella vita mi fanno stare bene. Abbiamo lavorato insieme anche con l’orchestra, sulle basi, arraggiando insieme i pezzi, con la collaborazione di J-Ax. La visibilità è stata importante, ma non sono andato in Rai per vendermi; sono anzi riuscito a portare il mio percorso musicale sui media e l’ ho fatto raggiungendo mezza Italia. Non sono un pezzotto (termine che indica un prodotto imitato, ndr), io faccio reggae napulitano.

Sei stato contento di essere nel team di J-Ax?

Si, certo, anche perché si è creato un bel rapporto con lui: veniamo dalla strada entrambi, ci siamo capiti bene. Anche la sua scelta a me contraria, che mi è costata l’ eliminazione dal programma, non ha inciso sul nostro rapporto, al punto tale che oggi sono ospite del suo ultimo lavoro discografico, che uscirà a gennaio. E’ stata una promessa fatta e mantenuta, in cui mi sono impegnato molto.

Se potessi tornare indietro, sceglieresti un altro coach al posto di J-Ax?

No! Ma ancora oggi, mi piace immaginare una collaborazione con la Carrà: sarebbe stato particolare. Chissà cosa sarebbe successo con lei.

Che differenza c’è tra l’impatto emotivo di un’ esibizione in diretta Rai e quella di un concerto?

La fase precedente è diversa. Il concerto ha i suoi tempi: il primo tempo lo detta la gente, il secondo tempo tu. “The Voice” ha tutt’ altri ritmi: io ero nel team più visto, ci toccavano i passaggi con i maggiori picchi di share, ma poteva capitare che, mentre ti preparassi ad entrare, ti fermavano per la pubblicità. E’ un’ ansia completamente diversa, ma l’emozione è identica, nel momento in cui cominci a cantare.

Un pezzo che avresti voluto portare in trasmissione e ti è mancato?

Uno di Bob Marley. Sarebbe stato ovvio, farlo, e avrei scelto uno di quelli meno conosciuti. Ma non rimpiango nulla, appena rientrato a Napoli ho ricominciato coi concerti, con la mia vita. A me la mia vita piace!

Nel 2011 i 99Posse hanno sostenuto l’ elezione di De Magistris a Sindaco di Napoli. Lo rifaresti?

Io, nel ruolo che ho e ho avuto nel gruppo, ci ho creduto nel progetto di De Magistris; a onor del vero, ho suonato sia con i 99Posse e sia da solo, come Jovine, e sono stato sempre pagato. Ho svolto, dunque, il mio lavoro. Volendo trarre delle somme da cittadino, io sostengo soprattutto la mia città: la Musica è un bene, come era un bene il mare prima che ce lo distruggessero. Perciò durante il concerto al Bolivar non ci saranno Clementino e Rocco Hunt con me (sempre fratelli!) ma delle persone che fanno musica e che meritano visibilità. Invece, in questa città, per riuscire ad avere una diretta televisiva il 31 dicembre, abbiamo dovuto chiamare Gigi D’Alessio.

I fans -grati per questa precisazione- si accalcano ormai in platea, e Valerio è chiamato sul palco. Il resto è cronaca, è emozione, impegno: centro sociale occupato, l’eleganza di chi conosce la strada, ne porta i segni dentro perché la strada non ti lascia mai: è lei che ti fa crescere, e Jovine è cresciuto. Con le sue scelte.

 

 

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