Episodi di maltrattamenti, violenze domestiche e casi di femminicidio sono molto frequenti nelle notizie che i media, quasi ogni giorno, riferiscono all’interno della cronaca e che sono classificati come episodi di “violenza di genere”. Nonostante si parli di questo fenomeno così drammatico con molto clamore, alcuni aspetti restano ancora ignorati e sottovalutati.
La donna è ancora troppe volte considerata come una proprietà e la violenza di genere si fonda, per l’appunto, sul concetto di disparità tra i sessi, in cui la donna si trova in posizione di sudditanza rispetto all’uomo, indipendentemente dalla razza, dalla religione, dal ceto o dall’istruzione.
Questo fenomeno, infatti, si manifesta trasversalmente in tutti gli strati sociali, non solo tra le fasce svantaggiate. Spesso è l’ambiente domestico uno dei luoghi meno sicuro per le donne che subiscono maltrattamenti: questo accade perché, all’interno delle mura di casa, l’uomo può esercitare maggiormente il controllo ed il potere e far leva sull’insicurezza e sull’isolamento della donna.
Il problema così resta circoscritto e tacito, salvo esplodere nel clamore suscitato in casi di gravi episodi brutali. Di fronte a certe notizie viene poi spontaneo chiedersi come e perché si possa giungere a questi eventi, sul perché queste donne abbiano sopportato tanta prepotenza e sul perché chi stava loro vicino non si sia mai accorto di nulla. A causa di questi silenzi, il fenomeno della violenza di genere rimane sottostimato e solo grazie a campagne di informazione ed alla nascita di Centri Antiviolenza o di Sportelli d’Ascolto è stato possibile aiutare numerose donne a parlare del loro problema e a liberarsi della sopraffazione maschile.
In questi ultimi anni del fenomeno della violenza di genere si è occupato anche il Consiglio d’Europa che, nel 2011, ha approvato ad Istanbul la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
Per violenza di genere (che nella sua accezione più ampia comprende anche i minori) si intende la violenza diretta ad una persona sulla base della sua appartenenza al genere sessuale; può essere definita come la manifestazione più brutale della disuguaglianza, della subordinazione e della dipendenza delle donne dagli uomini (si riscontra anche la forma contraria di violenza, delle donne verso gli uomini, ma è notevolmente più rara).
Tipologie di violenza di genere
Esistono differenti tipologie di violenza. La prima distinzione riguarda la violenza domestica che designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare tra attuali o precedenti coniugi o partner.
Per violenza fisica s’intende ogni forma d’intimidazione o azione che mette a rischio l’integrità fisica di una persona.
La violenza psicologica ha un grande potere distruttivo; rientrano in questa categoria la derisione, l’insulto, l’isolamento e la separazione dalle relazioni sociali, la gelosia, il controllo. Rientra anche lo stalking, introdotto come reato in Italia nel 2009 che si manifesta attraverso persecuzioni e molestie assillanti che hanno lo scopo di indurre la persona in uno stato di allerta e di stress psicologico.
La violenza economica è individuata in ogni forma di privazione, sfruttamento e controllo che tende a produrre dipendenza economica e ad imporre impegni economici non voluti.
Per violenza sessuale ogni forma di imposizione e di rapporti e pratiche sessuali non desiderati che facciano male fisicamente e/o psicologicamente, sotto minacce di varia natura.
Tra le vittime della violenza intrafamiliare rientrano anche i figli, che sono testimoni passivi di questi episodi. In questi casi si parla di violenza assistita e i danni che ne derivano sono molto gravi. Questi bambini imparano che è normale subire botte o disprezzo nelle relazioni affettive, quindi vengono compromessi nel loro modo di vedere il mondo e abituati a minimizzare e a negare la sofferenza provata.
Gli effetti della violenza sulle donne
La donna vittima di violenza cade in uno stato di completa arrendevolezza di fronte all’impossibilità di gestire situazioni che ritiene senza via di uscita. In questa condizione, la donna sviluppa una percezione distorta o intorpidita, come se vivesse tutto con senso di estraneità agli eventi (non sta succedendo a me) e la perdita di qualsiasi iniziativa. A causa della perdita di contatto con la realtà, arrivano ad aderire alle idee e alle condotte del loro aggressore: la paura provoca in loro la completa sudditanza.
Da parte dell’aggressore ci sono poi meccanismi psicologici che aiutano a mantenere il ciclo della violenza quali il negare (non ti ho detto questo!), il minimizzare (non l’ho picchiata, le ho dato solo uno spintone) ed, infine, il giustificare (era isterica, l’ho fatto per fermarla).
La relazione d’aiuto
La capacità di entrare in contatto con le persone in situazione di bisogno e di attivare una comunicazione che permetta loro di essere comprese ed ascoltate è fondamentale in una relazione d’aiuto, in modo da favorire la possibilità di confrontarsi e ripensare la realtà distorta dell’abuso, attribuendo la responsabilità al partner e non a se stessa.
Di fondamentale importanza, risulta creare, un progetto di separazione e di autonomia, che coinvolga i servizi territoriali, sia sociali, sia legali e le reti familiari. La donna viene aiutata a riprendere in mano le sorti della propria vita, ad attivare le risorse personali, familiari ed amicali, per sviluppare un progetto di cambiamento, di libertà, di autonomia economica ed abitativa.
Dunque, la responsabilità principale della lotta alla violenza deve essere assunta globalmente, promuovendo ed incentivando tutte le azioni di contrasto: dal piano politico a quello giuridico, passando per quello sociale, per la sanità e l’educazione nelle scuole.