L’articolo 1 dello statuto dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce la salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in una assenza di malattia o d’infermità”, e questo implica un’inscindibile unità tra la componente fisica e quella psichica della persona.
Di fronte alla malattia diventa di primaria importanza tenere conto che questo binomio diventa ancora più evidente e richiede dall’ambito sanitario un approccio globale al paziente.
Scompare la concezione della malattia come singolo oggetto di cura a favore di un ottica globale, in cui la relazione è il nodo centrale nei processi clinici. La letteratura scientifica ormai ci consegna che la mente e il corpo non possono essere scissi, un collegamento tra emozioni e malattia e l’una influenza l’altra.
Il ricovero in ospedale
Il ricovero in ospedale costituisce un trauma per ogni persona, qualunque sia la sua età e la causa in quanto l’ambiente fisico dell’ospedale provoca ansia ed irritazione (Farnè, 2001), senso di minaccia, frustrazione e depressione (Rossi, 2004) per una serie di fattori, quali l’indice di gravità della malattia, lontananza dalla famiglia, abbandono delle vecchie abitudini, Inserimento in un ambiente pieno di persone bisognose o sofferenti, organizzazione e orari dell’ospedale, rumori, limitazioni dello spazio personale , distacco dall’ambiente abituale, perdita della propria intimità ed infine dipendere dalle cure e dal volere degli altri.
Ne consegue un impatto psicologico, che si può manifestare con reazioni difensive come ansia, aggressività, regressione, depressione, isolamento, che fanno parte di un processo di adattamento alla nuova realtà.
La malattia rappresenta quindi un evento che va a rompere un equilibrio in quanto evento nuovo e stressante. Sconvolge la vita individuale e spezza i modelli di interazione usati dalla famiglia.
Secondo le ultime evidenze scientifiche le competenze psicologiche nel contesto ospedaliero si rivelano preziose e funzionali nel sostegno e nell’accompagnamento dei pazienti ospedalizzati per il percorso di cura orientato al miglioramento della qualità della vita , in particolare per i pazienti complessi.
E’ ampiamente dimostrato che le persone ospedalizzate a causa di un intervento chirurgico vengono dimesse tre giorni prima della media se hanno a disposizione la figura dello psicologo. Questi risultati hanno un importante ricaduta sul benessere del paziente ma anche sulla spesa sanitaria.
Nell’ambito dello sviluppo ed implementazione dei processi di umanizzazione dei percorsi assistenziali, quindi l’inserimento della figura dello psicologo nei reparti ad alta criticità si configura come componente fondamentale.
Modello di cura
L’intervento psicologico è mirato a favorire il processo di accettazione, adattamento e la reazione alla patologia favorendo la relazione terapeutica con l’equipe curante, sostenendo il paziente sul piano emotivo, promuovendo l’assunzione di responsabilità individuale nel processo decisionale.
Lo psicologo contribuisce a realizzare un modello di cura che comprenda maggiore attenzione alle esigenze personali ed emotive del paziente e lo renda più partecipe del proprio percorso di cura.
La consulenza al paziente e ai familiari offre sostegno rispetto ai vissuti legati alla malattia, e favorisce la comprensione delle esigenze della cura, con l’obiettivo di migliorare i risultati a lungo termine del trattamento e la qualità complessiva della vita del paziente.
La psicologia ospedaliera rappresenta nell’immaginario comune il luogo di maggiore “riparazione” dalla malattia organica. In tale contesto la psicologia trova la sua specifica collocazione, permettendo una visione più completa del sistema curante.
Il modello biopsicosociale di cura che prevede la presa in carico globale del paziente, promuove l’“umanizzazione” dell’assistenza riconoscendo al paziente il diritto di avere risposte non solo ai bisogni organici ma anche a quelli psicologici, rappresentando inoltre un valore aggiunto all’azienda ospedaliera.
La presa in carico del paziente avviene secondo una comunione di intenti del medico, dello psicologo e di tutte le altre figure professionali coinvolte, affinché ognuno tenga conto dell’azione dell’altro e viceversa, disegnando un quadro clinico quanto più completo possibile che consideri, non solo la patologia fisica ma anche la condizione psicologica dell’assistito.
Lo psicologo ospedaliero non ha solo l’importante funzione di supportare le persone che hanno necessità di rimanere, per periodi più o meno lunghi, all’interno della struttura ospedaliera; ma ha anche quella fondamentale di sostenere gli operatori stessi, di mediare il rapporto tra operatori e pazienti oltre che tra operatori e famigliari.
Ciò che facilita nelle relazioni di aiuto è la costruzione di un ambiente che faccia le funzioni di “holding”, come diceva Winnicott, cioè di uno spazio fisico e psichico che abbia la capacità di contenimento dell’espressione dei vissuti e delle angosce delle persone.
Lo psicologo in equipe
In qualunque contesto in cui effettua le sue prestazioni, sia esse cliniche, educative o formative, lo psicologo interagisce con altri operatori della salute, predisponendo interventi multidimensionali e integrando le sue competenze con quelle di altre discipline spesso anche molto critiche verso la psicologia.
Come specifica Carli, lo psicologo non deve però colludere con le aspettative magiche, con la svalutazione dei suoi strumenti che può derivare da una conoscenza limitata da parte di altri operatori; il professionista deve anche saper evitare competizioni con altre figure, negoziare in caso di conflitti e promuovere un’idea di psicologia scientificamente fondata.
L’intervento costituisce un lavoro interdisciplinare e il clinico non è tanto chi conosce una tecnica ma chi conosce la sofferenza che si accompagna alla malattia fisica in ottica fisiopatologica, psicologica e psicopatologica.
Nel corso del tempo il supporto psicologico clinico ha subito un’evoluzione nella pratica clinica ospedaliera. E’ necessario implementare una integrazione e fiducia reciproca fra medicina e psicologia.
Per dar vita ad una relazione veramente di cura più che di semplice pro-cura assistenziale, il medico deve riconoscere che non esiste solo il paradigma scientifico a cui si fa riferimento per assumere delle scelte; ma anche e soprattutto i paradigmi che sono formati dai repertori ideali, esperenziali, religiosi di ognuno.
Per dar vita ad una relazione profondamente terapeutica è dunque necessario per il medico riuscire a vedere la vita con gli occhi del suo interlocutore ammalato, oltre che con gli occhi della scienza. (F.P.Calamo-Specchia, 2011)
Le principali problematiche di cui si occupa lo psicologo ospedaliero sono:
1 il disagio psicologico che, in misura diversa, accompagna ogni esperienza di malattia
2-la sofferenza emotiva di un’ampia fascia di malati affetti da patologie spesso gravi, croniche e/o a prognosi infausta
3-gli effetti che tale sofferenza emotiva ha sul paziente, i suoi familiari e sugli operatori
4 il supporto e la formazione psicologica degli operatori
5 il miglioramento della qualità di vita dei malati
6 l’umanizzazione dell’assistenza
7-la prevenzione e promozione della salute
L’importanza di una comunicazione corretta ed efficace
Gli esami diagnostici e gli interventi chirurgici costituiscono una situazione altamente stressante a causa dell’incognita dei loro esiti. Essi possono provocare disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione, timori sulla propria sorte. anche in questo caso tali risposte emotive possono essere aumentate dalla mancata o parziale comunicazione con il paziente da parte del personale ospedaliero.
Mancanza di informazioni o informazioni contraddittorie, costituiscono una grande fonte di stress per chi già si sente in una situazione di dipendenza. Quindi diventa necessario dare regolari informazioni ed accettarsi che il paziente le abbia acquisite in quanto il paziente può recepire il messaggio in modo distorto, a causa del suo stato emotivo.
Si e’ osservato come ricoverati correttamente informati sul proprio stato di salute, sulle prestazioni mediche , sulle modalità di somministrazione dell’anestesia, sui rischi dell’intervento e sugli eventuali dolori post operatori, hanno una degenza inferiore in termini di tempo e di uso di anelgesici.
Infatti contrariamente a quanto ritenuto di frequente alcune ricerche dimostrano come in mancanza di informazioni precise sul proprio stato d i salute è più facile pensare che la propria condizione sia più grave di quanto non lo sia in realtà, attivando pensieri catastrofici.
Tipologia di intervento dello psicologo
L’intervento per la salute mentale è riconducibile a due tipi fondamentali di organizzazione:
1 consulenza a chiamata dove un operatore visita il paziente per fornire un parere in merito alle condizioni psichiche e agli interventi clinici necessari.
2 a collegamento, qui lo specialista della salute mentale fa parte dello staff del reparto e partecipa a un progetto interdisciplinare che ha come obiettivo il benessere, anche psichico del paziente. Il lavoro di collegamento prevede l’identificazione dei bisogni dei pazienti, grazie alle competenze e alle possibilità di osservazione offerte dall’intera equipe multidisciplinare.
La pratica del collegamento prevede che il professionista della salute mentale faccia parte dello staff di un reparto di cura o di un dipartimento, svolgendo un lavoro basato su una più stretta integrazione con l’equipe.
L’obiettivo non è ridare il sorriso al paziente, ma aiutarlo ad attraversare sentimenti angosciosi e a recuperare una sensazione di controllo e di fiducia, almeno parziale, nelle proprie risorse, fronteggiare l’angoscia trasformandola in una preoccupazione operosa.
La presenza di uno psicologo in ospedale quindi si rivela quanto mai necessaria e produttiva. La psicologia ospedaliera non è riducibile quindi ad un generico ed occasionale sostegno psicologico al paziente allettato da parte di uno psicologo itinerante tra le corsie o le stanze dei degenti, quasi una versione laica del “conforto religioso”, ne un pronto intervento psicologico” per sedare un’ansia improvvisa o l’agitazione psicomotoria del paziente, ma vuole essere un intervento con una precisa identità culturale, scientifica e metodologica.
Per dare un volto veramente umano all’ospedale è necessario impegnarsi per una “ripersonalizzazione” , che favorisca l’instaurarsi di un rapporto dalle dimensioni umane con il malato.
Ciò significa entrare sempre più nell’ottica di fare dell’ospedale un autentico luogo di cura dove l’attenzione e il servizio della persona non si riducano solamente alla somministrazione di una terapia, ma che l’attenzione sia rivolta alla persona nella sua interezza, accogliendone tutte le risonanze emotive.
Bibliografia
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