Risk Management: rischio clinico in sanità


Il tema della qualità e delle procedure che garantiscano un servizio sanitario “migliore” è un argomento su cui prestare molta attenzione in quanto è diventato una delle priorità su cui investire e lavorare.
Punto di partenza di un’efficace azione di prevenzione è l’introduzione, anche nell’attività sanitaria, di metodologie di Risk Management: “Il clinical risk management concerne il sistema di linee guida, protocolli, percorsi, procedure e prassi organizzative e cliniche adottate all’interno di un ospedale per ridurre le probabilità che si verifichino eventi e azioni potenzialmente in grado di produrre effetti negativi o inattesi sullo stato di salute del paziente”. Il ricorso alla gestione del rischio sta diventando sempre più un imperativo per le strutture sanitarie.
La maggior parte delle denunce da parte di pazienti e familiari non dipende tanto dalla volontà di ottenere un risarcimento materiale, quanto piuttosto da una serie di fattori che possono essere sintetizzati in tre parole: mancanza di comunicazione. Sono varie le situazioni che inducono il paziente ad intentare una causa di risarcimento. Anzitutto, il suggerimento ottenuto da parte di un altro medico (spesso basato su informazioni incomplete) secondo il quale c’è stata una negligenza. Sicuramente una scarsa comunicazione e risposte da parte del personale medico che il paziente percepisce frammentate e poco esaustive e soddisfacenti. O ancora la causa discende da situazioni di incomprensione o da situazioni nelle quali le spiegazioni non sono state comprese per effetto della rabbia o dell’ansia del momento. Infine, dal desiderio di proteggere altri pazienti da un potenziale, analogo, danno.
Diventa necessario quindi implementare protocolli di assistenza mirata non solo alla cura fisica ma parliamo di una cura che riguarda il paziente a tutti i livelli sia fisici che psicologici; al fine di attenuare comportamenti aggressivi e contenere lo stress in cui il paziente si trova durante l’ospedalizzazione.
I casi di malasanità , clinical malpratice talvolta eclatanti, riempiono periodicamente le prime pagine dei giornali e alimentano una sfiducia nella classe medica. Questo fenomeno è la causa primaria del boom della medicina difensiva. Infatti il personale medico spesso prescrive e moltiplica accertamenti, esami diagnostici e trattamenti terapeutici non tanto per assicurare la salute del paziente e quindi non sempre necessari ma, quanto come garanzia delle responsabilità medico legale seguente alle cure mediche prestate, per cautelarsi contro eventuali cause di risarcimento Evitare la possibilità di un contenzioso legale è la motivazione principale del porre in atto pratiche di medicina difensiva. Questo fenomeno porta ad un ingente incremento dei costi del servizio sanitario nazionale, delle spese legali e assicurative.
La medicina difensiva è ritenuta un fenomeno da arginare in quanto comporta lo spreco di ingenti risorse, nell’interesse del medico, del paziente e per le ingenti spese legali. Tra i rimedi suggeriti, scuramene quello di rendere gli orari di lavoro meno stressanti, creare un clima di collaborazione tra gli operatori sanitari, e porre maggiore attenzione al rapporto medico-paziente.
Le domande sono molteplici , ci si chiede :<<A che cosa corrisponde veramente questo fenomeno? In Italia c’è più malasanità ora di quanta ce ne fosse trent’anni fa? Si tratta solo di un problema di qualità dei servizi sanitari? Il paziente si sente ben contenuto e assistito?>>.
Domande a cui bisogna dare risposte incisive e soddisfacenti orientate al miglioramento dei servizi e alla riduzione del rischio di eventuali denunce.
Il ricovero in ospedale costituisce un problema generale per ogni persona, qualunque sia la sua età e la causa del ricovero: per tutti infatti il distacco dall’ambiente abituale, la separazione dai familiari, l’inserimento in un ambiente pieno di persone bisognose o sofferenti, costituisce un trauma che può essere più o meno evidente ma che è sempre presente. Il ricoverato non solo interpreta il ricovero come indice di gravità della malattia ma si sente inoltre meno padrone di sé stesso, avverte di essere divenuto dipendente dalle decisioni, dalle cure, dal volere di altri e questa sensazione contribuisce a renderlo più timoroso e più diffidente; occorrerà del tempo perché egli si adatti all’ambiente ospedaliero e cominci a sentirsi protetto e ad avere fiducia. Qui si affaccia la necessità di uno psicologo in corsia che aiuta il paziente a sentirsi contenuto ed accolto nei suoi bisogni.
Il malato non è più solo portatore di patologia, ma una persona con vissuti, competenze, conoscenze e credenze rispetto alla malattia. I pazienti hanno bisogno di sentirsi compresi, accolti come persone, di capire che lo specialista tiene al loro benessere e alla loro qualità di vita. E’ importate cercare di cogliere i segnali di una possibile difficoltà e porre le domande giuste, in maniera garbata per aiutare il paziente a far emergere il problema. Il momento dell’accoglienza del paziente è un momento fondamentale della relazione che viene a costruirsi col paziente, è un percorso di reciproca autentica conoscenza e, al tempo stesso, processo catalizzatore di trasformazioni.
Le sole competenze tecnico-scientifiche quindi non sono sufficienti, il servizio alla persona richiede un’attenzione particolare proprio alle dimensioni comunicativo-relazionali. Imparare a comunicare di più e meglio con le persone malate e con i familiari può migliorare la loro condizione rendendoli più partecipi e meno soli, ma può migliorare anche la condizione del medico accrescendo la soddisfazione per il recupero di un rapporto più consapevole e solidale.
Da anni si sottolinea che il buon esito dei programmi di cura e di assistenza si basa su una sostanziale “alleanza” all’interno di una triade costituita da malato, famiglia ed equipe curante.
Gran parte della letteratura scientifica ci consegna un collegamento tra emozioni e malattia e l’influenza che le prime hanno sulla seconda; ed è per questo che si riconosce l’importanza del sostegno psicologico in pazienti ospedalizzati.
E’ per questo che un processo di umanizzazione ospedaliera diventa urgente e la presenza di uno psicologo nei reparti di una struttura ospedaliera si presenta mai come oggi necessaria per sostenere, contenere, e collaborare con il personale medico, creando sinergie adeguate che permettono una guarigione più veloce del paziente che si sente “curato” nel modo giusto rispettando tutti i livelli, sia quello psichico, fisiologico che spirituale. Occorre che si prenda consapevolezza di questa esigenza, per pianificare, organizzare e proporre nuove soluzioni mirate al fabbisogno del paziente.
La Psicologia Ospedaliera è una risorsa etica e di efficacia, può contribuire in modo significativo a fare dell’ospedale un luogo più umano e a misura di persona, a aumentare l’appropriatezza e l’integrazione delle cure, la soddisfazione dell’utente. Le analisi costi-benefici evidenziano che le attività psicologiche si ripagano con la riduzione dei costi che comportano, generando ulteriori risparmi per le persone ed il Sistema Sanitario.
L’ospedale diventa la “seconda casa” dove affrontare un pezzo del percorso di vita, in una condizione di particolare debolezza e insicurezza dettata dalla malattia, che viene ad interferire spesso in una progettualità esperienziale del paziente. L’ospedale deve divenire luogo di dialogo, in cui la comunicazione si fa per il malato il miglior farmaco. Un ottimale comunicazione spezza il cerchio dell’isolamento, stempera l’ansia ed è di per se fattore di miglioramento clinico. L’umanizzazione non vuole essere la risposta al solo punto di vista dei pazienti, ma l’intersezione tra le loro esigenze, quelle dei loro familiari, degli operatori sanitari, della società. Diventa necessario assecondare la ripresa delle funzioni e della salute dei pazienti, senza imporre tempi di recupero e terapie che non corrispondano alle loro possibilità. Creare ambienti gradevoli, in cui si senta il meno possibile la struttura dell’ospedale come luogo di sofferenza ma venga sottolineata la funzione di rieducazione e di ripresa verso la vita attiva e sociale.

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