Trauma e disturbi alimentari: una possibile connessione


Nell’ambito della letteratura scientifica numerosi studi (cfr Vanderlinden e Vandereycken, 1997) hanno indagato l’esistenza una possibile relazione tra una storia di esperienze traumatiche, in particolare maltrattamenti fisici e violenza sessuale, e lo sviluppo di disturbi del comportamento alimentare (DCA).

Le donne bulimiche, rispetto alle altre, riportavano maggiori livelli di violenza fisica, di violenze psicologiche e di violenza multipla cui erano state sottoposte durante l’infanzia.

Alcuni studi sembrano dimostrare che l’associazione di violenza sessuale e ambiente familiare caotico, sommandosi, facciano salire la probabilità dell’insorgenza della bulimia.

Il disturbo post-traumatico da stress è associato a una più alta probabilità di sviluppare sovrappeso e obesità.

L’evidenza è emersa da una ricerca – condotta, tra il 1998 e il 2005, su oltre 54mila donne: di età compresa tra 22 e 44 anni – apparsa sulle colonne di Jama Psychiatry.

La maggior parte degli studi ha concentrato l’attenzione soltanto sulla violenza sessuale, benchè dalle prove risulti che probabilmente sono molti e diversi i fattori che possono rivestire un ruolo importante nello sviluppo del disturbo del comportamento alimentare come la mancanza di attenzioni da parte dei genitori, un’adeguata funzione di controllo sempre da parte dei genitori, i maltrattamenti fisici, la perdita di persone importanti non appartenenti alla famiglia e le violenze psicologiche.

Si evince quindi che l’abuso e il maltrattamento costituiscono dei fattori di rischio per lo sviluppo di successivi problemi psichiatrici, ivi compresi quelli alimentari.

Dagli studi effettuati si rivela molto importante considerare la fase evolutiva in cui occorre il trauma.

Le esperienze di violenza subita in età precoce sembrano avere effetti maggiormente negativi, anche per quanto riguarda i DCA, peggiorandone la prognosi e la trattabilità.

Si evince che più bassa è l’età in cui avviene la violenza, più primitivi sono i meccanismi di difesa attivati dall’esperienza traumatica.

In altre parole i bambini molto piccoli oltre alla razione di irrigidimento e ai cambiamenti dei modelli alimentari, dispongono di pochi o di nessun altro meccanismo per affrontare le esperienze traumatiche che li sovrastano.

Al contrario, i bambini che subiscono violenza per la prima volta nella tarda infanzia sono in grado di usare strategie a orientamento cognitivo: possono per esempio incolpare altre persone della violenza o razionalizzarla e possono servirsi di mezzi di difesa più sofisticati per far fronte al trauma.

Esistono poi fattori individuali come ad esempio la cosiddetta resilienza (Rutter, 2000), ovvero la capacità di recupero psicobiologico dell’individuo che, a fronte di gravi fattori di rischio, riesce a mantenere un funzionamento adattivo. Anche fattori ambientali, come il funzionamento familiare più o meno adeguato possono fungere da fattore di rischio o protezione per gli esiti evolutivi.

Spesso le reazioni difensive sono altamente disfunzionali come le abbuffate. Per alcuni pazienti abbuffarsi sarà un modo per sfuggire alla coscienza nel momento in cui devono affrontare uno stato emotivo inevitabile o pensieri negativi intrusivi.

Spesso le pazienti riferiscono che mentre avviene l’abbuffata non hanno sentimenti, e si trovano quasi in una trance ipnotica, una sorta di anestesia emozionale.

Waller scoprì che sintomi come l’abbuffarsi e il vomitare erano più marcati quando la violenza era stata intrafamiliare, aveva implicato il ricorso alla forza ed era avvenuta prima che la vittima avesse 14 anni.

Diventa importante quindi indagare sui dettagli specifici della violenza, come il tipo di contatto avvenuto, il grado della minaccia, la relazione della vittima con l’autore della violenza.

Per la ricerca di Van Gerko, Hughes, Hamill, Waller (2005), svolta su 299 donne che soddisfacevano i criteri del DSM-IV per un disturbo della condotta alimentare, è stata utilizzata una definizione di abuso includente esperienze sessuali traumatiche, il timore di maltrattamenti di natura sessuale quando i genitori erano sotto l’effetto dell’alcol, nonché l’assistere all’abuso sessuale perpetrato su un altro membro della famiglia.

I risultati supportano l’idea che l’abuso sessuale subito nell’infanzia sia in relazione con i sintomi bulimici e con disturbi dell’immagine corporea.

Le persone abusate nell’infanzia presenterebbero con maggiore frequenza condotte di eliminazione come il vomito autoindotto e l’abuso di diuretici e lassativi, mentre non risulta una correlazione tra abuso e sintomi restrittivi o compensatori di tipo non-purging, come l’esercizio fisico.

I comportamenti correlati ai disturbi dell’alimentazione avrebbero un ruolo nell’interruzione dei ricordi traumatici intrusivi e nella modulazione dell’ansia a questi associata. Essi, con i comportamenti auto mutilanti e le ripetizioni traumatiche sessuali, possono rappresentare tentativi di modulazione di affetti negativi, ma con esiti di stigmatizzazione, vergogna, impotenza e rabbia verso di sé, che creano un pericoloso circolo vizioso.

Il corpo, luogo di rimessa in atto del trauma originario, viene riabusato, ma questa volta con l’illusione del controllo, e i sintomi diventano inoltre funzionali all’autopunizione e al fine di tenere lontani gli altri (Molinari, 1999; Finkhelor, 1984). Le ripetizioni traumatiche aumentano, dopo un primo momento di calma, la perdita di speranza e la sensazione di non avere controllo sulle proprie azioni.

Schwartz e Gay (1996, in Molinari, 1999) descrivono le funzioni adattive dei sintomi di eating disorders come funzioni di ristoro/nutrimento, intorpidimento, distrazione, sedazione, fonte di energia, bisogno/richiesta di aiuto, ribellione, liberazione dalla rabbia, senso di identità e autostima, mantenimento di debolezza/impotenza, controllo e potere, rimessa in atto dell’abuso, autopunizione e punizione del corpo, contenimento per la frammentazione, dissociazione da pensieri intrusivi.

Essi risponderebbero anche a funzioni di pulizia e purificazione del Sé, tentativi di scomparire, creazione di un corpo piccolo/grande per protezione, fuga dall’intimità, cibo come sostituto dell’affetto genitoriale, strategia di coping per reprimere i ricordi dell’abuso.

Brusa e Senin (2000) parlano del disturbo alimentare come di una forma di eccitazione per la propria distruzione, quindi non una eccitazione erotizzata, bensì disprezzo e rifiuto della dimensione erotica.

Quanto detto finora mette, quindi, in luce come vi è una stretta anche se non esclusiva correlazione tra D.C.A. e la presenza, ripetizione e riproposizione di un trauma nella persona.

Bibliografia

Rutter M (2000), Resilience reconsidered: Conceptual consideration, empirical findings, and policy implications. In JP Shonkoff, SJ Meisels (a cura di), Handbook of early childhood intervention, 2nd edition. New York: Cambridge University Press.

Vanderlinden J, Vandereycken W (1997), Le origini traumatiche dei disturbi alimentari. Tr. it. Astrolabio: Roma, 1998.

Waller G (1993a), Sexual abuse and eating disorder: Borderline personality disorder as a mediating factor? British Journal of Psychiatry.

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