Cassani: “Sto tornando da un sopralluogo in Giappone per verificare percorso e logistica delle prossime Olimpiadi di Tokyo 2020”


<strong>Cassani: “Sto tornando da un sopralluogo in Giappone per verificare percorso e logistica delle prossime Olimpiadi di Tokyo 2020”

Nota social del CT Davide Cassani

PENSIERI SERALI

Sono atterrato da pochi minuti. Sto tornando da un sopralluogo in Giappone per verificare percorso e logistica delle prossime Olimpiadi di Tokyo 2020. Sono stati 5 giorni utilissimi, importanti per pianificare un programma che, collaborando insieme a dirigenti e tecnici federali, comincia a prendere forma. Il bello del mio lavoro sta proprio in questo. Programmare, pensare al futuro, lavorare con i giovani, studiare un percorso mondiale, un’ olimpiade. Meraviglioso.
Dovrei essere contento, soddisfatto del viaggio, felice di aver visto un percorso che potrebbe essere adatto ai nostri azzurri, ottimista nel pensare a tutto ciò che bisogna fare da qui a luglio del 2020.
Ma sono triste, si, molto triste. Dalla Malpensa sono salito su un treno per Milano centrale ed ora un altro treno mi sta portando a bologna. Il perché della mia tristezza? Semplice, l’ennesimo incidente stradale dove ad essere coinvolto è stato un ciclista. Lunedì è toccato a Samuele Manfredi, un ragazzo di 18 anni, in coma farmacologico dopo essere stato investito da un’automobile.
Samuele è un bravissimo ragazzo, intelligente, forte, curioso, più maturo della sua età anagrafica, sempre sorridente , un entusiasta puro.
A marzo di questo 2018 ha vinto la sua prima corsa a casa mia, Solarolo, come? Partendo in fuga solitaria al primo km. La settimana dopo ha vinto alla stessa maniera (fuga a lunga gittata in 3) la Gand – Wevelgem per poi in aprile arrivare secondo alla Parigi roubaix, (categoria juniors) in maglia azzurra.
Si è già diplomato al liceo Scientifico (è nato nel 2000) e vuole laurearsi in ingegneria gestionale (sta frequentando).
Questo è, purtroppo, uno dei tanti, troppi incidente dove ad essere coinvolti sono i ciclisti.
Luigi, 61 anni, stava raggiungendo il posto di lavoro alla banca d’Italia: investito da un pullman, morto.
Andrea, 53 anni, in sella alla sua bici stava percorrendo la Salaria verso Fiano. Investito da un’auto che viaggiava nella stessa direzione: morto
Paolo Simion, ciclista professionista Veneto. Nei pressi di una rotonda cade rovinosamente a terra per evitare l’impatto di una vettura: vivo.
Questi, solo alcuni degli incidenti capitati in questi giorni.
Basta. Non si può andare avanti così.
In Italia muoiono 10 persone tutti i giorni, sulle strade. Ogni 35 ore perdiamo un ciclista. E nessuno dice nulla, tutti a parlare di spread, di immigrati, di gilet gialli, di Tav, di quota 100 e reddito di cittadinanza, dell’Europa che ci bacchetta o del Natale che sta per arrivare ma cavolo, facciamo qualcosa per diminuire questi incidenti? Facciamo qualcosa per combattere questa guerra che miete morti e feriti?
L’altro ieri è successa una tragedia a Corinaldo. Cinque ragazzini ed una mamma sono morti per essere andati a vedere un concerto. Solo a pensarci mi vengono i brividi. Pure io sono padre di famiglia. Giustamente è stato dato ampio risalto a questa notizia e la speranza è che fatti del genere non succedano più.
E dei 600 pedoni che muoiono ogni anno? E dei 254 ciclisti? Vogliamo parlarne ? Troviamo una soluzione ? Sono 3378 le persone morte causa incidenti stradali nel 2017. Non possiamo andare avanti così.
Si continua a costruire strade senza pensare minimamente che potrebbe essere utile una ciclabile al fianco, si continua a pensare come risolvere il problema del traffico senza minimamente tenere in considerazione gli utenti più deboli. In molte nazioni europee sono partiti progetti per combattere il traffico (smog) diminuire gli incidenti, aumentate la mobilità sostenibile.
Prendiamo la Norvegia, nel 2016 sono stati stanziati 850 milioni di euro per creare piste ciclabili e Oslo ha deciso che dal primo gennaio del 2019 l’utilizzo delle automobili sarà vietato in tutta la città. Ci si può spostare a piedi, in bici oppure mezzi pubblici. Niente macchine.
Ma uno dei problemi maggiori, almeno per noi ciclisti, è la disattenzione degli automobilisti. Ormai chi guida un mezzo fa di tutto con il proprio telefonino mentre è alla guida: legge il giornale, manda messaggi, compone numeri per chiamare, scrive mail. Ma sapete che, viaggiando a 60 orari, si percorrono circa 16 metri in un secondo? In quei pochi istanti in cui l’autista non guarda, le automobili diventano proiettili impazziti, mortali. E sono stanco di leggere di automobilisti che, alla domanda su cosa sia successo rispondono: “non l’avevo visto.” basta. Non ne posso più di questa superficialità, di questa maleducazione (sto parlando anche dei ciclisti ) di queste regole non rispettate. Parliamo di 3300 morti all’anno, moltissimi dei quali per disattenzione, distrazione. Troppi.
Il treno mi ha sempre messo tristezza. No, non è vero, non da sempre. Da quando tornai a casa da Pescara. Era il 1984 e salii su un interCity dopo essermi ritirato dal Giro d’Italia. E anche nel 1985, al Tour de France, ne presi uno da Tolosa. Mi riportò in Romagna dopo l’ennesimo ritiro. Da allora, salirci sopra è sinonimo di ritiro, di sconfitta, di solitudine ed è la stessa sensazione che nutro ora, ma non per un banale ritiro da una corsa in bicicletta. No, la mia tristezza oggi ha un sapore diverso. Sto pensando a Samuele, ai suoi 18 anni, le sue speranze, i suoi sogni, e mi ritrovo a pregare Dio seduto su un seggiolino di un treno locale che da Bologna mi sta portando a casa. “Ti prego, dai la possibilità a Samuele di rivedere i suoi genitori, di laurearsi, di indossare un’ altra maglia azzurra, di poter cercare di realizzare i propri sogni….” Di vivere.


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