I dolori del giovane Verdi. Riflessioni di mezzanotte.
Una tempesta di parole si è scagliata in questi giorni sul giovane Verdi e sulla sua decisione di rimanere a Bologna, molte delle quali a sproposito. In particolare la buona parte del mondo calcistico nazionale come una schiera, compatta, decisa a mantenere lo status quo ha decretato la “sciocchezza” commessa dal numero 9.
Alquanto singolare che le critiche che imputano a Verdi l’aver scelto di chiudere la porta a una “grande” per rimanere a Bologna vengano magari proprio dagli stessi che spesso si battono contro la monotonia e la prevedibilità del campionato italiano. E magari anche dagli stessi che condannano le transazioni multimilionarie dello sceicco di turno, fino a portare chiaramente ad un innalzamento generale dei prezzi. E magari dagli stessi che rimarcano lo strapotere nelle trattative dei procuratori, fino a sottomettere le società. E, magari, da chi si nasconde dietro al vessillo incitante contro il calcio moderno proprio per evitare che le situazioni cambino. E magari chi accusa Verdi di poco coraggio non ha valutato i rischi che questa scelta ha implicato in faccia alla conformità che, a parole tutti disprezzano ma che nei fatti solo pochi la fugano. Verdi è uno di questi pochi.
Il non conformarsi alle regole non scritte della società, il punto d’incontro tra Werther, l’eroe romantico di Goethe, e Verdi, l’eroe di una Bologna romantica.