Una punizione tra la vita e la morte. Storia di Mwepu Ilunga e di come salvò i suoi compagni di squadra.
<b>22 Giugno 1974, Parkstadion di Gelsenkirchen. Brasile-Zaire, partita valida per i mondiali di calcio di Germania. La squadra sudamericana sfida l’outsider e vincitrice dell’ultima Coppa D’Africa, reduce nelle due partite precedenti del girone da 11 goal subiti e 0 segnati.
85’ minuto. Il tabellone indica il risultato di 3-0. Viene concessa una punizione ai verdeoro. Rivelino, uno dei più grandi calciatore di piazzati di sempre è pronto a colpire il pallone e a spiazzare il portiere sul suo palo con un missile rasoterra come da suo stile. Dalla barriera, già sistemata dall’arbitro rumeno Nicolae Rainea, si stacca il numero 2 Mwepu Ilunga che ad ampie falcate si dirige verso la palla per poi calciarla via prepotentemente. Subito il direttore di gara gli sventola in faccia il cartellino giallo. I Brasiliani sghignazzano con lo stesso senso di superiorità che aveva contraddistinto gli Inglesi nella prima metà dello scorso secolo in quanto a calcio e si saranno certamente detti con ironia fra di loro: “Questi non conoscono nemmeno le regole dello sport in cui sono campioni nel loro continente…”.
Sicuramente il calcio nel continente africano era meno sviluppato rispetto alla natìa Europa ma Mwepu non calciò quel pallone per ignoranza delle regole. Si venne a scoprire solo nel 2002 con una confessione del diretto interessato che, dopo la sconfitta 9-0 con la Jugoslavia, il dittatore del loro paese il famigerato Mobutu Sese Seko era stato lapidario (letteralmente): se la squadra avesse perso con più di 3 goal di scarto col Brasile non sarebbero tornati vivi a casa.
Così oggi a 42 anni di distanza il gesto di Mwepu sembra quello di un uomo che per evitare la morte a se stesso e ai suoi compagni tenta un estremo gesto cercando di distrarre il giocatore sudamericano. Che sia stato per merito di Mwepu Ilunga o che sia stato per una qualche benevola piega del destino non si sa, ma il tiro di Rivelino non andò a segno. I calciatori dello Zaire tornarono in patria con la fama di traditori della patria per aver disonorato il nome del paese davanti al mondo intero (si narra che dovettero addirittura uscire dalla porta secondaria dell’aeroporto) ma l’importate fu che ognuno di loro poté stringere la propria famiglia in un abbraccio, così desiderato nella paura di quel minuto numero 85 al Parkstadion di Gelsenkirchen.