Da bambina, quando la domenica mattina mi recavo in chiesa per partecipare alla “Messa dei Bambini” ciò che mi terrorizzava maggiormente, oltre al “Cuore di Gesù”, era il quadro di Santa Lucia. Quegli occhi, tenuti in mano come un offerto trofeo, mi incutevano un orrore profondo.
Solo più tardi scoprii un lato diverso di Santa Lucia. Era lei che, al Nord Italia, distribuiva doni ai bambini. Lo faceva con la stessa magia con cui la Befana, al Sud, riempiva le calze. I miei cugini di Brescia scrivevano con entusiasmo la loro letterina a Santa Lucia, godendosi presto i loro regali.Io, invece, dovevo aspettare l’arrivo della Befana. Un’attesa infinita.
I miei cugini avevano un grosso vantaggio: i loro doni arrivavano molto prima di Natale, regalando loro settimane di giochi. Io, invece, li ricevevo all’ultimo respiro delle festività, quando il ritorno a scuola era ormai dietro l’angolo.
Anche la Befana, però, non era immune dal mio timore. Vecchia e misteriosa, con quella scopa in mano, pareva più una minaccia che una benefattrice. E c’era una regola inflessibile: guai a restare sveglia nella notte tra il 5 e il 6 gennaio. Se si fosse accorta della mia veglia, mi avrebbe lasciato solo carbone. Ma, come una sorta di maledizione, ogni anno proprio in quella notte non riuscivo a chiudere occhio. Cercavo di combattere la paura con la curiosità: volevo vederla, volevo capire. Mi rifugiavo sotto le coperte, sbirciando con occhi spalancati nel buio, combattuta tra il desiderio e il timore di trovarmi faccia a faccia con lei.
“Attenta, se ti vede sveglia, ti tira la scopa in testa!” mi dicevano. E io, imperterrita, continuavo a spiare il nulla.
Erano paure intense, totalizzanti. Poi venne il giorno della verità: scoprii che la Befana non esisteva. Quella paura, che mi aveva accompagnata per anni, si dissolse in un soffio, lasciandomi quasi vuota. Santa Lucia era buona, la Befana non esisteva: il mondo sembrava un posto più bello e luminoso.
Ma, come in ogni fiaba, un nuovo mostro era pronto a prendere il posto dei precedenti: lo Schiaccianoci, quel soldatino rigido e colorato, emblema di un folklore che non mi apparteneva. Durante le festività natalizie, ogni negozio si riempiva di Schiaccianoci di ogni forma e dimensione. Piacevano a tutti, ma non a me. Gli Schiaccianoci mi terrorizzavano, in particolar modo quelli che muovevano la bocca e oscillavano le braccia, come creature animate da una vita sinistra.
Quest’anno, però, ho deciso di affrontare anche questa paura. Alla soglia dei cinquant’anni, con una determinazione nuova, ho comprato uno Schiaccianoci. Un piccolo soldatino di legno, modesto ma simbolico. L’ho appeso al centro del mio albero di Natale, proprio all’altezza del cuore, forse per sfidare me stessa, forse solo per chiudere un ciclo di timori inutili.
E ora, con lo Schiaccianoci che mi guarda e la luce delle decorazioni che danza attorno a lui, attendo il Natale e il Nuovo Anno con uno spirito diverso. Ho mandato via anche quest’ultima paura, come una finestra spalancata al vento fresco della speranza. E finalmente, con occhi nuovi e un cuore più leggero, sono pronta ad abbracciare ciò che verrà.
(di Maria Pia Nocerino)