Apice, tra Sannio e Irpinia, profonda provincia beneventana, viene distrutto dal sisma del 21 agosto 1962
Un paesino come tanti nell’entroterra campano, 6000 anime, palazzi a due piani, l’alimentari in piazza e la chiesa con il campanile a forma quadrata.
Raffaele Pellegrino e Loredana Zarrella l’hanno definita la Pompei incompiuta perchè i fondi per la manutenzione della parte antica, ormai disabitata, stentano ad arrivare.
Apice chiaramente rinasce, vive una nuova fondazione a pochi chilometri dal suo cuore, da quel centro storico che rappresentava uno dei più suggestivi borghi del panorama nazionale; ma la questione del Borgo fantasma resta aperta.
Mentre i sindaci e le possibili soluzioni si avvicendano, gli sciacalli rubano pietre e architravi e i cittadini fondano comitati per difendere la loro storia ma anche i loro interessi.
Massimo Solimene, che ama definirsi un fotoamatore, realizza un reportage fotografico del borgo fantasma di Apice perchè si sente -da sempre- particolarmente attratto dai posti abbandonati perchè
Racconto immortalando gli oggetti abbandonati e lascio che la storia venga fuori
e ci restituisce, così, uno spaccato della vita di un’Italia in piena ricostruzione ma che è molto lontana, culturalmente, dalla Roma dei palazzinari, dalla musica ye-ye e dalla Dolce Vita che tante pellicole hanno documentato.
Solimene lascia parlare gli oggetti ormai logori dal trascorrere del tempo e dall’incuria degli uomini che hanno abbandonato le loro case, ormai pericolanti, in cambio di una abitazione nel nuovo insediamento apicese ed essi narrano di passi malfermi e lenti in scarpe di seta nera, di fede e devozione, di partite a carte nell’osteria del paese. Della modernità che avanza, attraverso i primi televisori e le automobili appannaggio di pochi, di legno fradicio e lamiera, di bottiglie d’olio e fiaschi di vino dimenticati in quelle che dovevano essere le dispense delle case.
E restituisce, a quelli che hanno avuto il piacere di frequentare quei posti, una parte della loro vita, con i profumi dell’infanzia, con la spensieratezza della gioventù.
Apice sopravvive a sè stessa, ma la poesia che sprigiona il borgo non basterà purtroppo a spazzare via la patina di polvere, i detriti, i calcinacci che il terremoto e l’incuria delle istituzioni hanno lasciato sui suoi abitanti. E sulle loro vite.