“Sogno d’una notte di mezza estate”, regia Massimiliano Bruno
adattamento Massimiliano Bruno
con I Comici: Rosario Petix, Zep Ragone, Dario Tacconelli e Maurizio Lops nel ruolo di Quince,
Gli innamorati: Sara Baccarini, Alessandra Ferrara, Antonio Gargiulo, Tiziano Scrocca,
La Fata: Annarita Colucci
scene e costumi Carlo De Marino
light designer Marco Palmieri
musiche Roberto Procaccini
regia Massimiliano Bruno
Lo “spettacolo del teatro”, con la sua magia, le sue estrosità, la sua incontenibile passione, per chi lo fa e per chi lo segue, si è materializzato la sera del 28 e 29 marzo sul palcoscenico del “Politeama Genovese di Genova con la messa in scena di “Sogno di una notte di mezza estate”.
Una tendenza prevale nelle scene italiane da un po’ di anni: quella del voler modernizzare ad ogni costo un classico. Perché si crede che un’opera scritta secoli addietro non riesca più a trasmettere messaggi validi per i nostri stinti tempi? O forse per puro piacere di riscrittura in termini di lingua, convenzioni, metafore? Non lo si saprà mai. Fatto sta che è raro trovare una giusta misura di regia che sappia destreggiarsi fra la riproposizione d’un classico o in termini convenzionali, oppure in maniera esageratamente moderna rischiando, però, di stravolgerlo del tutto.
Il sogno d’una notte di mezza estate di Shakespeare per la regia di Massimiliano Bruno, che in questi giorni si è offerto al pubblico genovese, non è alieno dalla tendenza di spogliare uno dei capolavori delle scene elisabettiane delle sue tinte più proprie – letterali e di significato. L’operazione, tuttavia, non la si nota sul piano dei costumi – moderni, ovviamente – o delle scenografie – scarne e che raffigurano un ambiente vuoto che l’immaginazione, o qualche elemento introdotto a seconda delle esigenze (un carro rivestito con dei rami a rappresentare il bosco in cui avvengono le varie magie, o il trono di Titania), possono popolare a propria discrezione.
Il tentativo di rimodernare l’opera del bardo non la si individua neppure nella recitazione degli attori – canonica, a tratti brillante, ma che non sorprende in quanto manca negli interpreti una chiave interpretativa dei rispettivi ruoli che sappia incantare il pubblico.
Dove, allora, la novità di questo Sogno d’una notte di mezza estate? Nell’esser stato preso a pretesto, dal regista, per scene comiche degne d’un cabaret. Nel fatto d’aver reso le vicende degli innamorati – Ermia con Lisandro ed Elena con Demetrio – vittime degli incantesimi del re degli spiriti, in una commediola degli equivoci che diverte, suscita risa ed invita all’applauso. Ma ciò che se ne trae è simile a quello d’un sapore che non si gusta appieno e che subito scompare.
E tuttavia non si elevano all’altezza dei rispettivi personaggi (Teseo e Oberon; Bottom e Piramo). Non riescono. Anzi: sono questi ultimi ad aver dovuto adattare la loro statura drammaturgica all’ordito che intesse lo spettacolo.
Questo regno delle meraviglie shakespeariano, dove realtà e irrealtà si incontrano e confondono, nella rilettura di Bruno diviene un non-luogo, senza patria e senza un linguaggio che ben parli la lingua strumentata dal poeta. Così facendo, si è creduto di tirar fuori una dimensione inconscia dall’opera pensando di compiere un’operazione originale. In realtà, s’è provveduto a spogliare un classico della sua identità.
Di questo Sogno d’una notte di mezza estate non v’è rimasto che il titolo e la trama di fondo. Tutto il resto, per riprendere le bellissime battute conclusive di Puck, non è che un insieme d’ombre che a fatica si possono riconoscere.
Il sogno di Shakespeare, per una volta, vivaddio, è messo in scena con sorprendenti innovazioni come possono esserle le musiche travolgenti e giovani di Roberto Procaccini, le scene e le coreografie di grande bellezza e impatto visivo eccezionale a cura di Annalisa Aglioti, che è anche una bravissima Fior di Pisello, fata dei boschi, le sorprendenti rivisitazioni dei ruoli di una Titania ferina, dominatrice, a suo agio e credibilissima nell’abbigliamento simil-bondage
Perfetto Paolo Ruffini, al quale è stato cucito addosso il ruolo di Puck, folletto si, ma indolente, sornione, divertente e divertito dalle stramberie umane, abile manovratore, “infingardo, ma onesto e mai bugiardo”, romantico. Straordinaria la strampalata compagnia degli Artigiani, composta da Maurizio Lops, Rosario Petix, Stefano Fresi, Dario Tacconelli e Zep Ragone.
Sono loro il teatro nel teatro, imperterrito nei secoli, latori di un linguaggio inventato ed esilarante ed è difficile, pur essendo Stefano Fresi un mattatore, stabilire chi sia il migliore tra loro, ognuno eccezionale nel proprio personaggio tanto da raccogliere ovazioni durante i ringraziamenti finali. Ma ognuno, in questo adattamento così fresco e godibile, ha modo di lasciare una bella impressione. Anche Alessandra Ferrara, Claudia Tosoni, Tiziano Scrocca e Antonio Gargiulo, rispettivamente Ermia, Elena, Lisandro e Demetrio, i ragazzi innamorati, hanno modo di lasciare il segno, supportati da una regia attenta alle loro interpretazioni. Senza dimenticare Sara Baccarini, fatina agli ordini di Titania.
Questo diretto da Massimiliano Bruno è un Sogno davvero giovane, a dispetto dei secoli di storia, che annienta ogni perplessità, o cattiveria (di cui l’ambiente teatrale è saturo) sul cast “famoso” che si è dimostrato invece all’altezza del compito affidatogli. Un’operazione vincente, di successo, che riesce nell’intento dichiarato da Bruno, quello di esaltare la dimensione onirica e grottesca a dispetto di quella razionale e asfittica, “vivere nella verità del sogno tralasciando la ragione asettica”. Scopo raggiunto, teatro pieno, tanti giovani che assistono in silenzio e si scatenano negli applausi finali, uscendo contenti, spettacolo dal ritmo e dalle immagini moderne senza tradire l’essenzialità originaria, che riempie gli occhi e il cuore. Tutto il resto sono chiacchiere che si porta via il vento. Come un sogno che svanisce al risveglio. Imperdibile.
Patrizia Gallina
(Foto di Marcello Orselli)