Ennesima trasposizione del celebre romanzo di Louisa May Alcott, che la Gerwig marchia col suo punto di vista al tempo stesso rispettoso e originale.
Lo status di grande classico, un cast stellare e una messa in scena sontuosa hanno già garantito a “Piccole donne” diversi riconoscimenti, tra tutti due nomination ai Golden Globes (miglior attrice in un film drammatico per Saoirse Ronan e migliore colonna sonora originale ad Alexandre Desplat). La regista Greta Gerwig ha impresso con grande rispetto la sua chiave di lettura al celebre intreccio, con Jo che combatte con il cuore e con i denti per pubblicare il suo libro. Il racconto avanza con continui flashback destrutturando e mixando i romanzi da cui prende vita. E la Gerwig, anche sceneggiatrice, ci mette dentro pure il suo vissuto, insieme a quello della scrittrice Alcott. Al centro di tutto l’arte, il denaro, il matrimonio e gli ostacoli frapposti in ogni epoca tra le donne e le loro aspirazioni, la loro indipendenza.
Piccole donne, la trama
La trama in esame è prevedibilmente nota ai più. Jo, Meg, Beth e Amy sono quattro sorelle che ai tempi della guerra di secessione americana vivono con la madre in attesa che il papà ritorni alla fine del conflitto. Quattro personalità sensibilmente differenti con diverse inclinazioni artistiche sono combattute tra il dare sfogo ai propri sogni e il sistemarsi con un matrimonio di convenienza come la cultura dell’epoca impone. Meg (Emma Watson) è l’unica che, pur essendo dotata di un talento da attrice, desidera davvero una famiglia che presto costruirà. Beth (Eliza Scanlen) è la più brava a suonare il piano ma resterà vittima della scarlattina. Amy (Florence Pugh) rinuncerà a sposare un uomo ricco per legarsi a Theodore Laurence (Timothée Chalamet). E poi c’è la ribelle Jo, che a sposarsi non ci pensa proprio e lavorerà giorno e notte al romanzo della loro vita.
Piccole donne, recensione
La narrazione così come l’abbiamo descritta acquista un buon ritmo ma risulta troppo spezzettata, comprimendo notevolmente eventi ed emozioni. A tenere tutto in piedi contribuiscono le pregevoli ambientazioni i Jess Gonchor e gli ottimi costumi di Jacqueline Durran, insieme alle performance di Saoirse Ronan, Emma Watson e Meryl Streep (l’inflessibile zia March che sostiene senza scruopolo alcuno la tesi “sposata o morta”). C’è anche l’ormai onnipresente Timothée Chalamet, a suo agio in un personaggio costruito però a tratti in maniera surreale, specie quando dichiara il suo amore a turno alle varie protagoniste.
Il finale porta sullo schermo l’affascinante e antico processo di stampa del romanzo con Jo-Alcott-Gerwig ad attendere con smania di poter stringere tra le sue braccia il tanto sospirato volume rosso. La bravura della Gerwig sta anche nel non far avvertire in maniera importante la distanza di un racconto datato comunque 1868. La scelta delle due storyline divise cronologicamente da un divario di sette anni tiene viva l’attenzione dello spettatore fino all’ultimo, intrecciando le vicende a tratti anche in maniera brusca. In tutto ciò la Gerwig riesce a inserire la sua particolare e originale visione, facendo camminare la sua emancipazione di artista accanto a quella delle quattro piccole donne.