<strong>Da 5 Bloods – Quattro reduci del Vietnam di colore (Delroy Lindo, Jonathan Majors, Clarke Peters e Norm Lewis) costituivano insieme al loro caposquadra Norman (Chadwick Boseman) i “5 Bloods”, un gruppo di soldati molto unito anche da una grossa quantità di lingotti d’oro ancora sepolti nella giungla.
Dopo molti anni i quattro, orfani di Norman caduto in guerra, tornano in Vietnam per recuperare l’oro e i resti del loro caposquadra.
Da 5 Bloods, recensione
Ancora una volta Spike Lee si ritrova per bravura e per buona sorte a cavalcare con perfetto tempismo l’onda dell’attualità con l’uscita di un suo film. Con ancora negli occhi i conflitti contemporanei narrati da “BlacKkKlansman” questo “Da 5 Bloods – Come fratelli”, girato nella primavera del 2019 e che doveva sbarcare a Cannes, viene reso disponibile su Netflix una ventina di giorni dopo l’uccisione di George Floyd e le conseguenti rivolte in difesa degli afroamericani.
Nel lungometraggio vengono rappresentati addirittura gli attivisti di “Black Lives Matter”, anche se sono gli aspetti controversi della guerra del Vietnam a risultare quanto mai attuali. Le parole di Muhammad Alì che si schiera apertamente contro il conflitto danno il via alle due ore e mezza abbondanti di film in cui Lee mette tanta carne al fuoco.
Per i flashback, ai quali è dedicato un formato visivo ristretto, si è deciso di non ricorrere ad alcun ringiovanimento dei quattro reduci e di mostrarli meno possibile. Il meglio di “Da 5 Bloods” sta nei dialoghi vivaci e in alcune svolte che riescono a ravvivarlo proprio quando la vicenda sembra stagnare. Godibile anche il viaggio nel Vietnam odierno tra oro, resti umani e mine antiuomo. Ritornano a più riprese citazioni di “Apocalypse Now”, anche in musica attraverso “La Cavalcata delle Valchirie”.
I protagonisti si lanciano in numerose invettive contro Trump e vorrebbero vedere al cinema e in tv un vero eroe del Vietnam, piuttosto che Rambo o Walker Texas Ranger. Senza guizzi né adeguato rilievo il personaggio di Jean Reno, che interpreta un francese che accetta di aiutare i quattro a smerciare l’oro.
Particolarmente curata la colonna sonora orchestrale firmata da Terence Blanchard e percorsa in lungo e in largo da Marvin Gaye per un film corale, con poche inquadrature dedicate a personaggi singoli e in cui si respirano atmosfere da telefilm degli anni Ottanta.
Lee si specchia un attimino quando arriva a far dire con lo sguardo rivolto in macchina al personaggio di Paul, ormai in preda a follie e incubi post Vietnam frasi come “Voi e questo posto mi avete reso maligno”, con “una guerra che non era nostra e per diritti che non avevamo”.
A chiudere il tutto le parole di Martin Luther King contro il devastante conflitto durato vent’anni, pronunciate un anno prima del suo assassinio. In un’opera sul Vietnam che, includendo anche diverse immagini di repertorio, riesce a parlarci degli Stati Uniti d’America di oggi.