“Staremo a vedere, pronti a ritirare i nostri risparmi prima che il peggio accada”, recitava il mio ultimo articolo sulla Grecia scritto tre mesi fa. Dopo le ultime convulse settimane dense di negoziati e tensioni arriviamo alla fatidica data odierna, 30 giugno, giorno in cui il governo ellenico con tutte le probabilità non pagherà la rata da 1,6 miliardi di € al FMI, oltre ad essere il termine del piano di aiuti, facendo scattare la morosità del debitore e tutte le possibili conseguenze: Default? Accordo last minute? Uscire dall’euro? Un’analisi di prospettive.
Il tavolo è saltato, la partita di poker interrotta, si ricomincia lunedì prossimo. Questo è il breve riassunto delle estenuanti trattative che si sono concluse venerdì, quando il primo ministro greco Alexis Tsipras ha abbandonato le trattative con la Troika ed ha indetto un referendum popolare domenica 5 luglio, in cui il popolo greco dovrà scegliere democraticamente se continuare i negoziati, ottenere gli aiuti e portare a termine le riforme richieste oppure rifiutarsi di collaborare e andare verso il ripudio del debito. Niente si potrà dunque mettere in campo fino a lunedì prossimo, salvo in caso di un rocambolesco quanto improbabile annullamento del referendum; solo quando la volontà popolare sarà chiara si diraderà la nebbia e si trarranno le dovute conclusioni.
Ad opinione di chi scrive il popolo greco dovrebbe votare “sì” al raggiungimento di un mutuo e ragionevole accordo, poiché ciò che è avvenuto in questi anni di crisi (povertà, disoccupazione, disastro sociale) ed in questi ultimi giorni (risparmi e conti correnti inaccessibili, banche chiuse, Borsa chiusa) è solo un assaggio di ciò che potrebbe accadere in caso di Grexit (perdita di potere d’acquisto dei cittadini, collasso del sistema bancario, chiusura dei mercati esteri ed impossibilità di finanziarsi, deficit e spread alle stelle). Tuttavia, la natura delle cose necessita di un approfondimento maggiore, perché non si comprenderebbe altrimenti il come si sia giunti a questo punto. Anche ad una prima analisi del problema, in caso di vittoria del sì si aprirà comunque una fase complicatissima per la Grecia ed i greci, poiché Tsipras ed il suo governo verrebbero sfiduciati e dovrebbero dimettersi, oppure accettare il volere del popolo e negoziare per loro conto: ciò porterebbe in ogni caso sfiducia verso il governo greco, instabilità e grosse tensioni sociali.
Come si diceva ci sono enormi responsabilità, da entrambe le parti, che esamineremo.
La Grecia ha potuto trarre vantaggio dall’Euro e dai bassi tassi di interesse, riuscendo ad indebitarsi a buon mercato durante tutti gli anni Duemila fino all’inizio della grande crisi, accumulando inoltre grandi squilibri: tra il 1998 e il 2008 i dipendenti pubblici triplicano, passando da 280mila a 770 mila, ed il salario nominale di questi ultimi cresce in questi anni del 230%, molto più sia dell’inflazione che della produttività; ancora, fino al 2012 le figlie nubili dei pubblici dipendenti ottenevano un assegno dal governo, ed i barbieri ricevevano una pensione pubblica retributiva dopo i 50 anni di età. Infine, in Grecia negli ultimi 3 anni sono state comminate sanzioni per evasione fiscale accertata per 10 miliardi di euro, riscuotendo solo 100 milioni; tale inefficienza si somma all’ingente sommerso non ancora scovato ed alla possibilità di avere profitti esentasse ed IVA agevolata su tutti i profitti all’estero (anche in paradisi fiscali) per armatori petrolieri ed editori greci. Gli squilibri a cui si è fatto riferimento hanno portato una grossa perdita di competitività con l’estero, con negative conseguenze sulla bilancia commerciale e sull’efficienza di tutto il sistema paese.
Dall’altro lato, la cosiddetta Troika non è affatto esente da responsabilità: dopo la crisi le istituzioni hanno deciso di intervenire attraverso un importante salvataggio in cambio di un grosso aggiustamento strutturale da raggiungere in brevissimo tempo: si è scelto cioè di erogare un finanziamento a tassi penalizzanti e (nella previsione iniziale) per soli tre anni, imponendo allo stesso tempo una correzione fiscale brusca e gravosa sul piano sociale: sette punti di riduzione del disavanzo primario nel 2010 (dal 10 al 3 per cento, dati del Fondo Monetario Internazionale; queste correzioni in Italia sarebbero pari ad una manovra finanziaria da 110 miliardi!) e obiettivi di surplus sempre più ingenti anno dopo anno. Il paese è così sprofondato nella recessione (25 per cento la riduzione del Pil dalla crisi del 2008 ad oggi) e queste correzioni hanno creato le premesse per l’attuale disordine sociale e politico in Grecia.
L’errore della Troika è stato duplice: da un lato essersi accontentata, durante gli anni, di aggiustamenti strutturali, spesso eccessivi, di natura contabile, cioè tali da riportare bilancia commerciale e bilancio pubblico in equilibrio ma senza correggere gli squilibri di fondo (in altre parole: tasse, tagli, licenziamenti e riduzione dei redditi, senza considerare politiche strutturali di lungo termine per rendere più efficienti economia e macchina pubblica); dall’altro aver richiesto questi aggiustamenti in maniera drastica, profonda ed in tempi troppo brevi, distruggendo così l’economia legale e lasciando intatti alcuni privilegi acquisiti (mentre i redditi crollano, per esempio, le baby-pensioni, i prepensionamenti, i privilegi per armatori e petrolieri restano, e gli evasori sono intoccabili). Gli aggiustamenti richiesti possono certamente portare a grandi miglioramenti non solo nei conti pubblici ma anche nell’intero sistema economico, ma solo se accompagnati ad una vasta opera di liberalizzazione dei mercati uniti a politiche per lo sviluppo ed ad un periodo di aggiustamento che sia medio-lungo.
La crisi economica si è inserita infatti su tante debolezze per superare le quali servono almeno tra i cinque e dieci anni di lavoro costante, attento, cauto, così da operare in maniera graduale, senza rischi di panico sui mercati o agli sportelli delle banche come sta succedendo in questi giorni. Questo impegno quindi non può essere portato avanti da nessun governo se sempre sul filo di un rasoio, incalzati dall’incubo del default o da tensioni causate dalle continue scadenze dei pagamenti.
Non è importante, secondo la nostra opinione, chiudere le trattative e pagare le scadenze dei prossimi mesi, ma acquisire (dando priorità agli aggiustamenti strutturali anche con l’utilizzo di commissari esterni) sicurezza finanziaria per fare riforme per i prossimi anni, senza massacrare un intero paese. Una proposta del genere è stata avanzata sia alla Grecia sia alle istituzioni internazionali da tredici importanti economisti greci, che consigliano l’adozione di un periodo di tregua di qualche anno per rendere le riforme realizzabili e sostenibili nel lungo periodo e per abolire la lunga serie di vergognosi ed insostenibili privilegi (http://www.cnbc.com/id/102795653).
Questo senza immaginare che uscendo dall’Euro o ricorrendo ad un default per cancellare il debito si possa raggiungere la salvezza: queste illusioni sono lesive e favolistiche, e porterebbero l’intero popolo greco al terzo mondo.