Gli argentini, tra la minestra riscaldata del peronismo dell’italiano Sergio Massa e il salto nel buio della destra di Javier Milei, hanno scelto di saltare. In effetti la vittoria di Milei, pur essendo temuta da tanti, si poteva considerare probabile, anche se i sondaggi la ritenevano meno netta di quanto poi non sia stata in realtà.
Il 55,69% contro il 44,30% la rende una vittoria schiacciante, anche se il margine è stato molto stretto nella periferia di Buenos Aires; più netta invece nel centro della capitale; addirittura dilagante a nord e a ovest, nelle province di Santa Fe, Córdoba e Mendoza.
Sergio Massa dopo l’affermazione del primo turno, nel quale era in vantaggio di sette punti, non ha avuto la fiducia necessaria al ballottaggio, perché come ministro dell’economia non ha saputo fermare la crisi economica e l’inflazione, che galoppa al 140%.
I “cambiamenti drastici, senza gradualità” di Milei
Si è preferito affidare le speranze a Milei, per la sua promessa di “cambiamenti drastici, senza gradualità” e l’annuncio della “fine del modello dello Stato onnipresente, che crea povertà, per abbracciare l’idea di libertà”.
Nella concezione di Milei, libertà però significa liberismo spinto e fine dei sussidi, oltre che l’adozione del dollaro al posto del disastrato peso. In realtà Javier Milei è riuscito a vincere soprattutto grazie all’appoggio della destra liberale e più moderata di Patricia Bullrich, che è stata la candidata giunta al terzo posto al primo turno delle presidenziali con il 23,8%.
Milei è riuscito a prevalere, nonostante le sue prese di posizioni spinte sul calcio con la proposta di attivare capitali stranieri nel campionato, e gli attacchi a Papa Francesco, che hanno irritato tanti.
Non è il primo populista a vincere in questi tempi, perché candidati ritenuti “estremisti” e “pericolosi” come Donald Trump e Jair Bolsonaro, che comunque presentano tante differenze con la figura e i riferimenti del neoeletto presidente argentino, Javier Milei, hanno attivato negli anni attenzioni maggiori.
Per il prof. Ignacio Labaqui, analista politico e sociologo dell’Uca, l’Università Cattolica Argentina, l’ultima campagna elettorale è stata atipica, perché tra gli elettori argentini non c’è una polarizzazione ideologica, bensì solo tanta insoddisfazione per la gestione dei principali problemi della società da parte dei partiti tradizionali.
Campagna elettorale impugnando una motosega
Milei riesce ad emergere in questo contesto particolare con le sue note proposte “radicali”, in merito ai tagli di spesa pubblica e alle politiche assistenziali. Ha promesso, con in mano una motosega, di liberare l’Argentina dalla “casta”, utilizzando la forza di questa immagine come arma politica.
Addirittura nella sua campagna elettorale alcuni riferimenti nostalgici alla stagione della dittatura militare sono stati evidenti nelle dichiarazioni della candidata vicepresidente Victoria Villarruel, deputata conservatrice vicina al partito spagnolo Vox e al mondo militare.
Gli attacchi e gli insulti a Papa Francesco
Gli attacchi e gli insulti a Papa Francesco, anche se in parte ritrattati, hanno irritato il mondo cattolico, ma per Labaqui l’arrivo dell’”extraterrestre” Milei alla “Casa Rosada”, non è assolutamente un rischio per la democrazia.
Per il docente, al netto del programma di Milei, “Il nuovo presidente, al di là dei proclami, non ha altra scelta, se non quella di moderarsi ad elezione avvenuta. Al primo turno ha ottenuto solo l’appoggio di un terzo dell’elettorato, e quindi si avvia a diventare il presidente del Congresso più debole dal ritorno della democrazia, e probabilmente anche di tutta la storia argentina dall’adozione del suffragio universale.
La sua sfida principale deve essere assolutamente la governabilità, ma l’alleanza con Bullrich non è sufficiente per approvare le leggi, anche se amplia i suoi numeri. Per Labaqui non si può parlare di minaccia per la democrazia, anzi Milei corre il rischio di essere un presidente molto debole.
I presidenti forti sono quelli che godono di maggioranze ampie al Congresso, per poter controllare anche le nomine alla magistratura, ma questi, storicamente, sono stati una minaccia per la democrazia.
Invece per Milei si tratta più di una sfida in termini di governabilità, che di una minaccia alla democrazia perché è stata importante l’alleanza con buona parte della coalizione liberale.
Argentina, inflazione ai massimi livelli
La scommessa di assicurare la governabilità comunque non sarà per niente facile, perché Il presidente sarà chiamato ad affrontare una profonda crisi economica e sociale che sembra irrisolvibile. L’Argentina, secondo Labaqui, deve attuare un piano di stabilizzazione, .per ridurre un’inflazione, che ha raggiunto addirittura livelli mai visti dal 1990.
Questo richiede, oltre a una diagnosi corretta, anche un piano adeguato, il sostegno politico e la capacità di negoziare con i sindacati e i movimenti sociali argentini. Sulla politica internazionale Sergio Massa come ministro dell’economia aveva già avuto molti contatti con alti funzionari di Brasile, Cina, Europa e Stati Uniti.
Ovviamente questi contatti diplomatici non avrebbero impedito conflitti, ad esempio sul programma del Fondo monetario internazionale, sulle licenze 5G o sulla gara d’appalto per le vie d’acqua, ma adesso con la nuova impostazione del presidente Milei, il rapporto con gli altri Paesi sarà davvero un’incognita.
Sicuramente si possono ipotizzare pessimi rapporti con i governi di sinistra del Cono Sud e con Amlo in Messico, e sarà tutta da verificare anche l’adesione dell’Argentina ai Paesi Brics, che era stata annunciata in occasione dell’ultimo vertice tra Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.
Altro dato politico significativo della vittoria di Milei è la conferma che l’idea di una “svolta a sinistra” dei paesi sudamericani, che si dava quasi per scontata da più di un anno a questa parte, in realtà è molto fragile, se non già dissolta. Restano poi le preoccupazioni della Chiesa argentina, che ha seguito con grande interesse la sfida elettorale, indicendo una Giornata di preghiera per la Patria, il venerdì prima del ballottaggio.
Questa Giornata di preghiera fa capire quanto la scadenza elettorale veniva colta come un passaggio chiave del paese sudamericano, anche se dall’episcopato non erano giunte prese di posizione in merito alla scelta sui candidati, nonostante gli attacchi violenti di Milei al Papa.
Questa scelta diplomatica è stata voluta dalla Chiesa perché il nuovo presidente deve essere giudicato per quello che farà o non farà, soprattutto rispetto alla situazione dei tanti poveri ed emarginati, che affligge da tempo l’Argentina.
A dare voce a questa preoccupazione sono stati, alla vigilia del voto, i cosiddetti “curas villeros”, vale a dire i sacerdoti dei quartieri periferici di Buenos Aires e delle altre principali città. Inoltre l’arcivescovo di Buenos Aires ha dichiarato testualmente: “I più umili del nostro popolo hanno bisogno della sanità pubblica e dell’istruzione, dell’aiuto contro la piaga della droga, dell’integrazione socio-urbana dei quartieri popolari e della tranquillità di una democrazia consolidata”. “Non decidiamo con la paura. Non possiamo fare nulla di buono se abbiamo paura”, Queste parole dell’arcivescovo, mons. Jorge Ignacio García Cuerva, sono state dette durante l’omelia domenicale nel giorno della votazione del secondo turno elettorale.
L’arcivescovo di Buenos Aires ha inoltre affrontato l’argomento della crisi sociale, che si sarebbe aggravata, perché nel paese argentino sta prevalendo la paura degli uni verso gli altri. Questa paura dell’altro è il vero male, più oscuro ancora della crisi economica, dal quale sempre, secondo l’arcivescovo, non sarà facile, per l’Argentina, liberarsi in tempi brevi.