Giuliano Giuliani, l’artista che affonda la vocazione alla scultura e la scelta della pietra come materiale per le sue opere nell’immaginario dei suoi anni giovanili a Colle San Marco dove trascorreva ore ad osservare il padre e lo zio che lavorano nella cava di famiglia.
Un luogo acquistato qualche anno prima della nascita dell’artista, che ha ereditato dopo la dismissione delle attività di scavo negli anni Ottanta. Ed è lì che ancora oggi Giuliani vive e lavora.
La città di Ascoli Piceno rende un omaggio importante allo scultore marchigiano Giuliano Giuliani (Ascoli Piceno, 1954). Ad ospitare un’ampia selezione dei suoi lavori è il Forte Malatesta di Ascoli che, con la sua scabra potenza, offre una ambientazione ideale ad accogliere le pietre che l’artista ha piegato alla loro nuova natura.
Il primo paesaggio di Giuliani, ove negli anni Settanta egli ha formato il suo laboratorio d’immagine, è stato certo quello della cava di famiglia, nell’entroterra marchigiano. Può dirsi che quell’alba del suo fare gli sia rimasta lungamente nell’animo: ad essa egli è stato ed è fedelmente avvinto, serbandone gelosamente i valori ideali e fattuali: dal che deriva in prima istanza la peculiarità della sua opera. Da allora – e poi sempre – il suo materiale d’elezione è stato il travertino, con le sue forre profonde e le sue improvvise rivelazioni; solo raramente Giuliani ha avvertito l’urgenza di aggiungere alla pietra che ha scavato qualche elemento estraneo: gessi o materiali diversi, sempre attinti dalla natura.
L’opera di Giuliani non è stata tuttavia un’esperienza tutta in sé raccolta e tetragona alle suggestioni della ricerca plastica contemporanea: in realtà il suo fare è figlio di un vasto scrutinio dei vertici della scultura internazionale del secolo XX, a cominciare dal suo primo amore per Brancusi. Dopo quella lontana suggestione, egli ha ripensato gli esiti della ricerca di Henri Moore al tempo dell’incontro fecondo con il surrealismo; quindi è la ricerca degli anni Quaranta e Cinquanta di Arp a sedurlo: quella volontà, in particolare, tante volte dichiarata dall’artista alsaziano di dar vita con la sua scultura a forme che, prossime ad una nuova nascita, conservino però il sentore del grembo, senza ripetere nessuna forma già esistente. Attraverso Arp, orienta infine Giuliani, soprattutto in certi suoi passaggi d’anni Novanta, l’opera di Alberto Viani.
Da fonti diverse, dunque, oscillanti fra ricerche d’ordine astratto e suggestioni umanistiche, muove Giuliani. Del quale forse troppo spesso, all’opposto, s’è sottolineata soltanto la vocazione a una separatezza, nell’eremo dei monti marchigiani, che se è certo reale condizione d’esistenza, e rispecchia una vocazione profonda dell’animo, non ne ha impedito uno sguardo largo e consapevole dato oltre, e ben oltre, quei suoi confini.
L’esposizione ascolana è organizzata dal Comune di Ascoli Piceno, in collaborazione con l’Associazione Mario Giuliani Onlus, ed è curata da Stefano Papetti, responsabile scientifico delle raccolte museali di Ascoli Piceno. L’allestimento della mostra è progettato e curato dallo scenografo Graziano Gregori. La mostra raccoglie un’ampia selezione di opere, alcune di dimensioni rilevanti, dagli anni Novanta alla sua ultima produzione.
In mostra verranno presentate anche le fotografie in bianco e nero realizzate da Mario Dondero, che documentano l’artista al lavoro e alcune delle sue opere negli ambienti suggestivi della cava dove Giuliani da sempre lavora.
Un’ampia monografia sull’artista, a cura di Paola Bonani e Fabrizio D’Amico, verrà pubblicata in occasione della mostra. Il volume raccoglierà le testimonianze di Giuseppe Appella, Mario Botta, Eugenio De Signoribus, Antonio Gnoli, Franco Marcoaldi, Paolo Mauri, Tullio Pericoli, Davide Rondoni; i saggi critici di Mariano Apa, Paola Bonani, Fabrizio D’Amico; le fotografie di Mario Dondero, oltre le immagini di tutte le sculture in mostra al Forte Malatesta. Il volume è edito da Lubrina Editore, Bergamo, con la cura editoriale di Arialdo Ceribelli.