Chico Forti: “Voglio ringraziare Nello Petrucci”

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“Voglio ringraziare Nello Petrucci: solo ora ho visto la sua opera. Non è solo un capolavoro a livello artistico, ma è un messaggio tanto esplicito quanto silenzioso. Se una fotografia vale cento parole, il murales di Nello ne vale un milione! Altra neve aggiunta alla valanga “Chico Forti Sono Io”, ed io amo la neve quanto amo il mare. ”SNOW IS ONLY FROZEN WATER !” diceva Jack O’Neill, inventore della muta, pioniere del surf, e mio compagno d’ avventure. Chico”.

Con queste parole Chico Forti, il produttore televisivo e velista italiano detenuto da 20 anni in un carcere americano, perché ritenuto responsabile di un omicidio per il quale si è sempre dichiarato “vittima di un errore giudiziario”, ha voluto ringraziare lo street artist italiano Nello Petrucci per la realizzazione a Miami di “Attesa”.

“Attesa” di Nello Petrucci

Seduto nella sala d’aspetto di un aeroporto, un uomo attende un volo per Roma. Non è un viaggiatore qualunque. Indossa una divisa da carcerato. Quell’uomo è Chico Forti, rinchiuso da 20 anni in un carcere americano. Nel 2020 era stata annunciata la sua imminente estradizione. Forti sarebbe rientrato in Italia dove avrebbe continuato a scontare la sua pena. Da allora sono trascorsi oltre 12 mesi e tra mille incertezze il suo ritorno in Italia sembra essere ancora lontano. Ed è per questo che nell’opera di Petrucci l’aereo atteso da Forti viene ripetutamente cancellato. Sul display si legge ripetutamente la scritta “Cancelled”.

 

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“Attesa” di Nello Petrucci

L’opera è stata realizzata da Nello Petrucci nel quartiere di Wynwood. Il murales su carta con halftone misura 6 metri per 3. Abbiamo voluto saperne di più ed è per questo che abbiamo contattato l’autore. Ecco cosa ci ha raccontato.

  • “Attesa”, la tua ultima opera è dedicata a Chico Forti, il produttore televisivo e velista italiano detenuto da 20 anni in un carcere americano. Forti si è sempre dichiarato vittima di un errore giudiziario. Come è nato il desiderio di realizzare un’opera che denunciasse l’attuale condizione di Forti?

“Attesa” è un inno alle ingiustizie. In quell’attesa che rivede Chico si racchiude un tempo sospeso. Affrontare questo tema è stato per me un lavoro molto duro. Ho provato ad immaginare la sensazione di essere accusati ingiustamente. anche solo per minuto, e subito un mix di rabbia, indignazione ed altri sentimenti hanno invaso tutto il mio corpo, da capo a piedi. Da lì è partito il percorso. Questo è uno dei lavori interamente dedicato che mi ha catturato particolarmente. Realizzarlo a Miami significa camminare di fianco ad un burrone, ma non importa, non trovavo altri posti se non la stessa Miami, seppur accettando dei rischi più grandi. Bello vedere come un mezzo di espressione come l’arte possa avere un ruolo fondamentale in vicende davvero drammatiche, toccare le coscienze con delle corde davvero sottili.

  • Come è stata accolta la tua opera?

Onestamente non faccio valutazioni. Avevo qualcosa da dire e l’ho detto nel mio miglior modo possibile. Credo sia stata accolta abbastanza bene, ho avuto apprezzamenti da molte associazioni che seguono il caso, e in questo percorso ho conosciuto molte persone davvero splendide che si battono per Chico e per le ingiustizie; approfitto per ringraziarli davvero di cuore e fare i complimenti per quello che fanno nell’anonimato possibile. Questo è veramente bello! Lì a Miami non so come sia stata accolta.

Ho avuto anche il piacere di ricevere una lettera da parte di Chico che mi ha riempito di felicità, la stessa felicità che voglio augurargli. Ripeto,  essere accusato ingiustamente per una qualsiasi cosa, immagino produca una rabbia che si taglierebbe a fette. Chico da spirito elevato ha scelto la via della giustizia incondizionata; è un esempio di italiano a cui dovremmo guardare con ammirazione. Se questo arriva a chi di competenza, possano farsi un esame di coscienza e trovare la via più giusta, non la strada più conveniente. Spero presto di abbracciarlo in Italia. Ecco un esempio di come l’arte diventi un’altra cosa – attiva molle dove altre persone continueranno a saltellare. Se l’arte non fa scaturire una reazione allora possiamo definirla una passeggera decorazione. Il mio contributo per la sua scarcerazione non finirà qui.

  • Le tue opere affrontano sempre tematiche sociali attuali. Qual è, tra le tue opere finora realizzate, quella che secondo te ha contribuito a lanciare il messaggio più forte?

Ognuna è frutto di una situazione singolare, ma spesso tutte hanno sempre quello “sfondo” che invita a riflettere, che non lascia indifferenti. Non saprei dire quale sia la più interessante. L’arte, la street art è un tagliente gesto rivolto al popolo che accoglie direttamente o indirettamente, e va presa come un’opportunità, per questo vale sempre la pena dire qualcosa che smuova le coscienze.

  • Cosa avresti voglia di gridare ancora attraverso l’arte?

Questa è una bella domanda! Ci sarebbero tante cose, ma l’arte non deve solo documentare, testimoniare un periodo, da li devono nascere interpretazioni, elaborazioni o chiamale evoluzioni. Guarda ad esempio il cambiamento climatico, credo che oggi gli artisti con maggior eco dovrebbe fare di più per sensibilizzare le comunità su questo tema, sarebbe un dovere morale. Su questi temi non mi stancherei di gridare.

  • Nel 2021 hai portato la street art a Pompei e poi a Castellammare di Stabia con il Pompei Street Art Festival e lo Stabiae Street. Ci saranno delle seconde edizioni?

Credo di si.

  • La Street Art negli ultimi anni sotto una luce nuova. A tuo avviso, a far rivalutare la Street Art ha contribuito il Covid con la conseguente chiusura di musei e pinacoteche o si è trattato di un processo naturalmente avviato già da tempo?

Non credo. È un fenomeno di massa. Da quando venivano considerate operazioni illegali, successivamente sono state metabolizzate dalla collettività e oggi non vengono viste più come semplici imbratti; lì abbiamo assistito al più grande sdoganamento. Di questo dobbiamo ringraziare Banksy. Credo che la street art ne avrà ancora per un bel po’. Non credo che il Covid abbia avuto nessuna rilevanza. Godiamoci questo movimento.

  •  Street Art in Italia e all’estero. Stessa concezione o trovi che esistano differenze? Quali, ad esempio?

L’arte non ha DNA. Parlerei di periferie dimenticate e centri città. Se prima erano le periferie i primi avamposto, ora le città che già godono di bellezza aprono comunque le porte. Quello scetticismo è postdatato. Abbiamo questa grande opportunità, ci godiamo questo fenomeno mondiale al quale, per fortuna, stiamo assistendo. Immagina se gli impressionisti si fossero affacciati alla street art che città avremmo visto.

Vero! Non ci avevo mai pensato!

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Nello Petrucci
  • Perché tanti artisti preferiscono l’anonimato?

Non parlerei di anonimato eccetto sir Banksy. Gli street artist spesso hanno pseudonimi che li scagiona da qualsiasi rischio di responsabilità civile o penale, proprio perché i muri su cui operano non sono quasi mai autorizzati.

Io, non trovando uno pseudonimo che mi piacesse, ho preferito il mio nome e spesso ne pago conseguenze con multe salate. Adesso sto pensando seriamente di trovarne uno!

  •  Cosa prevede la normativa? Uno street artist può realizzare le sue opere su qualsiasi muro?

Se non si hanno autorizzazioni da parte degli enti, comuni, soprintendenze e spesso dai proprietari è totalmente illegale! Quindi è reato. E spesso si va incontro a sanzioni a volte anche salate. Peggio ancora quando si tratta di monumenti! Lì cambia la cosa, la legge prevede anche l’arresto. Questo trend però sta cambiando. Ci sono stati casi in cui, per alcuni condomini i giudici hanno stabilito che si trattasse di un arricchimento e per questo non hanno comminato sanzioni. Insomma ci si evolve.

PARLIAMO DI TE

  • Quando ti sei avvicinato alla Street Art? Quando hai capito che sarebbe diventata la tua ragione di vita?

I miei primi lavori risalgono al 1996. Allora usavo le bombolette e facevo delle tag del tutto insensate. Usavo questo linguaggio per scrivere spesso “I love you” a qualche fidanzatina che si cambiava con le stagioni, ma posso dire che faceva colpo; si sentivano molto lusingate;  aveva comunque un senso prettamente autoreferenziale. Spesso venivo pagato per farlo anche ad amici e amiche per i loro partner. Ma quella non era street art, anche se aveva una sua funzione. All’epoca avevo anche un pseudonimo Aney Petrux. Quella era preistoria per un quindicenne che vive alla periferia di una città come Pompei dove qualcosa di più underground era il canale MTV. Totalmente fuori dal mondo! Oggi, come sappiamo è tutto diverso. Poi si matura e passano gli anni, e accade che ciò che consideravi teppismo diventa un filone e scopri che puoi rivolgerti alle persone in modo diretto e senza fronzoli, con effetto veloce e rapido. In questi anni poi ho cambiato strumento e soprattutto i temi. Quello che rimane è quell’adrenalina sana che ti dà una botta di vita nel momento che decidi di dare una nuova vita ad un muro. 

  •  Le opere di Street Art possono avere vita relativamente breve. Come vivi questa condizione?

Nel mio caso sono davvero effimere. Ma non me ne dispiaccio, fa parte del gioco. Non importa la durata, ma l’effetto.

  • Progetti futuri?

Sto lavorando a due progetti artistici molto interessanti che sono in fase di sviluppo. Il focus a cui sto prestando molta attenzione riguarda alcuni progetti cinematografici che purtroppo richiedono una notevole quantità di tempo. Attendiamo un po’.

  • In poche parole chi è Nello Petrucci?

(Ride) Grazie!! Non sono riuscito ad intervistarlo. Appena saprò meglio di lui te lo dirò! Un mio amico Ciro CIliberti, bravo fotografo, alla domanda: “Chi sei?” risponde: “Sono il servo dell’illusione umana”. Mi fa sempre riflettere questa sua risposta.

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