Campania in zona arancione, parlano i ristoratori


Appena i contagi iniziano a salire, c’è un settore che prima di tutti viene danneggiato ed è quello ristorativo.

Con Magazine Pragma abbiamo intercettato alcuni imprenditori del settore ristorativo per avere un parere in merito alla nuova zona arancione causa Covid-19 dal 21 febbraio (ecco cosa cambia), che in alcune città come Castellammare di Stabia, ad esempio, è stata anticipata ad oggi (sabato 20/2). Le domande sarebbero tantissime. Proviamo a farne alcune mirate.

1. Di nuovo arancioni, come si difenderà da un punto di vista commerciale?

2. Quali scompensi, le porta il continuo cambio di colore e restrizioni?

3. Un imprenditore è positivo e propositivo per sua natura. Lei ha un’idea da proporre in questa situazione?

4. Secondo lei, la situazione che viviamo è frutto delle persone che non seguono le regole, dei mancati controlli delle forze dell’ordine preposte o dell’incapacità dei nostri amministratori?

Lello Donnarumma, La Casa del Ghiro Pimonte (NA)

Di nuovo arancioni, come si difenderà da un punto di vista commerciale?

Di nuovo arancioni significa di nuovo in un mare di incertezza, soprattutto nelle modalità in cui siamo stati avvisati, mettere in piedi una struttura grande come la nostra, ci son voluti una 15 di giorni dopo i 5 mesi di inattività. Un fine settimana aperto e poi tutto richiuso. È moralmente ed economicamente disastroso.

Quali scompensi, le porta il continuo cambio di colore e restrizioni?

Gli scompensi sono molteplici, in primis organizzativi, il personale e soprattutto la clientela si sbanda, parecchi non ricordano le differenze tra zona gialla, arancione e rossa. Oggi, 20 febbraio, mi chiamano per prenotazioni per domani – domenica 21 febbraio – per non parlare delle spese fatte di merce che deperisce nel giro di due/tre giorni.

Un imprenditore è positivo e propositivo per sua natura. Lei ha un’idea da proporre in questa situazione?

Io sono ottimista di natura, ma adesso non vedo ancora la fine. Pensavo che con l’inizio dei vaccini si potesse man mano tornare alla normalità, invece, vedo che la strada è ancora lunga e “tortuosa”.

Secondo lei, la situazione che viviamo è frutto delle persone che non seguono le regole, dei mancati controlli delle forze dell’ordine preposte o dell’incapacità dei nostri amministratori?

E’ l’insieme di tuti i fattori che hai citato, peró ti rispondo sulla indisciplina delle persone e ti dico come la penso io.

La gente è messa nelle condizioni di non rispettarle, mi spiego meglio. Io ho dipendenti che hanno avuto da Marzo 2020 ad oggi solo due bonus da 500€ l’uno. Tu spiegami come deve fare una persona con moglie e figli a casa a vivere con 1000 € all’anno, ed è quindi probabile che qualcuno a infranto le regole del lockdown.

Quello che è inconcepibile, sempre per la mia opinione, tenere chiusi i ristoranti e poi permettere i veri assembramenti nelle ville comunali o addirittura, ancor peggio, nei centri commerciali. Le amministrazioni sono state catapultate in un problema più grande di loro sicuramente, in Europa non sono messi meglio di noi. Ma se hai deciso di governare devi anche prendere le decisioni e assumerti delle responsabilità. I colleghi tedeschi, te lo dico per esperienza diretta di un amico collega in Germania, hanno ottenuto il 60% del fatturato stando a casa, noi in Italia, abbiamo avuto le briciole!

Pasquale Falcone, gruppo Delicious Cava de’ Tirreni (SA)

Bisogna partire da un primo concetto e cioè che anche nella normalità, quando ancora non c’era il Covid-19, non era facile portare le persone nei ristoranti,  nelle pizzerie e nei pub, perché la concorrenza è tanta tanta e moltissimi ristoratori spendono migliaia e migliaia di euro in pubblicità proprio per riempire i locali.

Se partiamo da questa premessa, questo continuo “apri e chiudi” ovviamente fa disperdere anche la clientela più affezionata, se aggiungi che non tutti hanno voglia di andare al ristorante,  la situazione è grave e forse in taluni casi irreversibile, perchè sta facendo perdere ai ristoranti, ai ristoratori, alle pizzerie anche quel minimo di clientela fidelizzata.  Dal punto di vista proprio economico, il danno è ingente, perché, per esempio, anche noi con i nostri locali è stato già acquistata le merce da oggi a domenica e per un locale come i nostri, da 49/50 posti, avrebbe fatto forse quelle 30-40 persone che servono esclusivamente ad un incasso per pagare un po’ di dipendenti che non stanno in cassa integrazione, anche perchè chi lo è un euro da novembre. Se aggiungi i pigioni, perché i proprietari non ne vogliono sapere di abbassare i costi  o di rinviare i pagamenti, la situazione è ancora più critica. Senza contare, e questa sembra una battuta, ma non lo è assolutamente, moltissimi ristoratori, il giorno 16 febbraio, hanno pagato i contributi per quelle poche persone che stanno lavorando per consentire l’asporto e il delivery.

A proposito del delivery, a meno che non sei a Milano, a Napoli o a Roma, e quindi in grandi città, con queste grosse catene di società che si occupano di delivery, è come dire controproducente e non silavora come si dovrebbe. Noi, in una città come Cave de’ Tirreni, nei nostri locali, facciamo quelle 20-25-30 pizze o 25-30 panini, ovviamente non servono altro che a coprire qualche costo.

Ribadisco che chiudere bar, ristoranti e pizzerie non è la soluzione, altrimenti avrebbe già funzionato, è un anno che con questo sistema non sta funzionando. Il virus viaggia in altri canali come nelle metropolitane, nelle scuole e nei centri commerciali, che anche se stanno chiusi, però stanno aperti i reparti alimentari e ad esempio stamattina al Conad di Cava dei Tirreni c’erano circa 1500 persone.

Stanno distruggendo un tessuto economico che secondo il mio modesto avviso avrà bisogno di 3-4 anni per riprendersi. La soluzione sarebbe aprire tutto ma rispettando le regole con il distanziamento, con la la mascherina al tavolo fino a che non si deve pranzare, con la prenotazione per riservare un tavolo e così via. Ci vorrà un forte ristoro che però dovrà essere in percentuale sul fatturato dell’anno precedente e, soprattutto, come si vocifera un anno bianco, in cui non si devono pagare né contributi né tasse.

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