“Così è il paradiso. È guardare l’inferno seduti in poltrona”.
Ascanio Celestini
Ve lo ricordate l’Ice Bucket Challenge? Sì, le cosidette challenge online non le ha inventate TikTok e chi dimentica è complice. Comunque, venne un periodo in cui tante persone hanno postato sui loro profili social video in cui si versano addosso un secchio d’acqua ghiacciata. Il motivo era – sì – nobile: venne lanciata dalla ALS (organizzazione americana senza scopo di lucro che finanzia la ricerca globale sulla sclerosi laterale amiotrofica e fornisce servizi e programmi di assistenza alle persone affette da questa terrificante malattia) con lo scopo di accendere i riflettori sulla SLA e spingere gli internauti alla donazione solidale. Siamo nel 2014 e il primo a rispondere a questo stimolo è stato, su Twitter, il giocatore di baseball Pete Frates, che aveva scoperto una manciata di mesi prima di essere affetto dalla malattia. Pete Frates, tra l’altro, è morto nel 2019. Aveva solo 34 anni.
L’Ice Bucket Challenge si stima abbia avuto oltre 2 milioni di citazioni su Twitter, prodotto più di un milione di video nei soli Stati Uniti e contribuito (dati ALS) a raccogliere 115 milioni di dollari in tutto il mondo, entrando de facto nella storia recente dell’umanità come esempio di campagna virale di successo.
Ora, immaginatevi di partecipare all’Ice Bucket Challenge photoshoppandovi cubetti di ghiaccio sulla foto in cui vi sentite più carini. Magari quella che avete scelto come foto profilo. Ecco, ora riguardatevi e dite sinceramente se vi sembrate seri.
Questo sta accadendo in Italia con il ddl Zan.
ddl Zan, ostruzionismo parlamentare e photoshop
Facciamo un passo indietro. Il ddl Zan prende il suo nome dal suo relatore in Parlamento, l’onorevole Alessandro Zan. Il vero nome del disegno di legge non è Zan, chiaramente, ma “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”. Proposta di Zan e altri, si legge nell’atto della Camera numero 569. Stiamo parlando del 2018.
Volendo fare un’estrema sintesi del ddl Zan, si potrebbe dire che – andando a modificare il 604 bis e 604 ter del Codice Penale italiano – va ad aggiungere alla condanna di gesti, azioni e slogan aventi lo scopo di incitare alla violenza e alla discriminazione in base a motivi razziali, etnici e religiosi anche quelli legati all’identità di genere e disabilità. Per la precisione, come si legge nel nome del disegno, “sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità”.
Che – sia ben chiaro, questa è lingua italiana, non opinione personale – non vuol dire che chi picchia un omosessuale si prende una condanna peggiore. Né tantomeno, come quella volta che mi arrivò un comunicato stampa farneticante, vuol dire che “chi gestisce una palestra non può vietare ad un uomo che si sente donna l’ingresso nello spogliatoio delle donne” o che “non sarà possibile per un sacerdote insegnare la visione cristiana del matrimonio”. Il ddl Zan prende la legge Mancino e al punto in cui lo Stato punisce
a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi
sostituisce
a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi oppure fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere;
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi oppure fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.
Ok, allora voi vi chiederete: ma quale sarà mai il problema? Ok, il problema è a metà tra la questione ideologica e quella formale. I detrattori del ddl Zan sostengono fondamentalmente che non ci sia bisogno di una fattispecie ad hoc per questi reati, sostenendo – da conoscitori navigati del nostro sistema giuridico che abbiamo già tutti gli strumenti a disposizione per condannare queste condotte. Insomma, il punto di vista è che ingolfiamo maggiormente, con definizioni e altre fattispecie, i nostri già un po’ incasinati codici. Poi ci sta un’ala, quella a destra, quella Lega – Fratelli d’Italia per essere più precisi, che sta facendo ostruzionismo parlamentare tra rinvii, formalismi e sospensioni. Non si entra molto nel merito del dibattito, perché sembrano più giocate volte a spalleggiare un certo ostracismo verso l’argomento.
Ed è per questo che, con i lavori impantanati al Senato a un passo così piccolo dall’approvazione (il testo è arrivato oltre 5 mesi fa), è partita una campagna social a favore del ddl Zan.
#diamociunamano e…sporchiamocela questa mano!
Questa campagna social, lanciata da Vanity Fair e ripresa da tanti personaggi pubblici e non, è semplice semplice e non prevede nessuna secchiata d’acqua in testa: la gente si scrive ddl Zan sul palmo della mano con un pennarello e pubblica una foto in cui palesa il suo sostegno alla causa. Non a caso, la campagna si chiama #diamociunamano.
Per questo è insopportabile che qualcuno pensi di sostenerla photoshoppandosi ddl Zan sulla mano o utilizzando grafiche ad hoc. Contemporaneamente perde di senso l’impegno a favore della causa. Già di questi tempi dar valore al proprio impegno è difficile, quando è così facile perseguirlo,. Pochi click (o tap), comodamente dalla poltrona di casa, e timbriamo il cartellino: sembra un’operazione volta a conseguire il certificato di partecipazione più che altro. Non possiamo permettercelo, non più: abbiate il coraggio di sporcarvi le mani per ciò in cui credete.
Jamm, che pure Alessandra Mussolini c’è riuscita.