Etiopia, l’aggravarsi degli scontri nel Tigray rischia di coinvolgere l’intera regione


In Etiopia si sta combattendo una guerra civile. All’inizio di questo mese, il primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali, vincitore nel 2018 del premio Nobel per la firma della pace con la confinante Eritrea, con cui il Paese era in guerra dal 1998, ha inviato truppe nella regione settentrionale del Tigray. L’accusa formale mossa dal Primo ministro è stata quella secondo cui i soldati tigrini avrebbero sferrato un attacco contro una base dell’esercito federale etiope. Da inizio mese nella Regione si combattono sanguinosi conflitti che hanno visto vittime in entrambi gli schieramenti e centinaia di migliaia di sfollati che si sono spostati dal Tigray occidentale a quello settentrionale e in molti casi hanno fatto sconfinato nel vicino Sudan, riversandosi in alcuni campi profughi come quello di Um Rakuba.

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La regione del Tigray

La regione etiope del Tigray è la più settentrionale delle 9 regioni che costituiscono la Repubblica federale etiope ed è abitata in prevalenza da etiopi di etnia tigrina e tigrè. Il partito più importante è il TPLF (Tigray People’s Liberation Front), il quale insieme al EPLF (Eritrean People’s Liberation Front) risultò fondamentale per combattere la dittatura marxista del DERG (Governo militare provvisorio dell’Etiopia socialista) del colonnello Menghistu Hailé Mariàminiziata nel 1974 e conclusasi nel 1991. L’Eritrea era all’epoca una provincia dell’Etiopia e come ricompensa per aver contribuito alla liberazione del paese, il TPLF le concesse l’indipendenza.

Pochi anni dopo, nel 1998, una disputa irrisolta riguardante zone territoriali di confine nella regione del Tigray e il possesso della città di Badme, rivendicata dall’Eritrea, portò a un conflitto tra i due Paesi. La guerra, sostenuta in larga parte dalle forze militari tigrine, si concluse nel 2000 con un negoziato noto come accordo di Algeri, che oltre alla cessazione delle ostilità e al rimpatrio dei prigionieri, portò alla creazione a L’Aia di due commissioni neutrali: la Commissione Reclami Etiopia-Eritrea e la Commissione per la delimitazione dei confini. Le commissioni stabilirono che la città di Badme e il suo territorio dovevano essere assegnati all’Eritrea, ma ovviamente l’Etiopia respinse tale decisione, inviando truppe nella Regione e a presidio della città.

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Le tensioni degli ultimi anni e il possibile allargarsi del conflitto

Nonostante l’accordo di Algeri, i rapporti tra TPLF e governo non migliorarono di molto. Le tensioni con il Tigrai si sono acuite negli ultimi anni, soprattutto dopo l’ascesa del primo ministro Abiy Ahmed Ali, originario della regione centrale dell’Oromia. Il neo Premier ha infatti sistematicamente epurato dai vertici dell’esercito, della coalizione al potere e dei servizi di sicurezza molti esponenti di etnia tigrina, mettendo di fatto fine alla presenza predominante sulla scena politica etiope del TPLF. Tra le accuse più pesanti rivolte dal Premier al governo locale c’è stata quella secondo cui il TPLF armerebbe milizie irregolari.

Nella giornata di domenica forze irregolari tigrine hanno lanciato razzi contro la capitale Eritrea Asmara, per cercare di attirare l’attenzione ed estendere il conflitto. Tra il regime eritreo, retto dal dittatore Isaias Afewerki, e il TPLF esiste un legame etnico, ma anche una rivalità per le zone di confine contestate. Anche se l’affermazione per ora non ha trovato riscontri, esponenti del TPLF hanno sostenuto che soldati eritrei stiano combattendo insieme alle truppe etiopi per le difficoltà incontrate da queste ultime, tanto da costringerle a chiedere aiuto agli acerrimi nemici eritrei.

Un eventuale allargamento del conflitto nelle zone confinanti potrebbe destabilizzare l’intera regione del Corno d’Africa, ma per ora almeno, non sembrano esserci segnali di possibili negoziati tra le parti in lotta, nonostante il primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali abbia annunciato ieri che l’operazione militare del Governo federale è entrata nella sua fase finale. Intanto alcune organizzazioni internazionali come l’ONU e Amnesty International hanno già denunciato violenze, massacri di civili e migrazioni di moltissime persone prospettando una crisi umanitaria dalle dimensioni catastrofiche.

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