Come avevo detto nel precedente articolo i notabili del partito democratico americano stavano cercando di convincere il presidente Biden a rinunciare alla seconda candidatura, ma l’attentato a Trump ha rallentato il procedimento, che quindi si è manifestato nella sua solennità solo nelle ultime ore.
Dopo aver preso il COVID, che lo ha costretto a diversi giorni di isolamento, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha informato con un post sui social della sua decisione di non partecipare alla competizione elettorale presidenziale, facendo nello stesso tempo il suo endorsement per la vice presidente Kamala Harris.
Successivamente a guarigione dal COVID avvenuta, Biden ha fatto un intervento dalla Casa Bianca, affermando tali parole: “La difesa della democrazia è più importante di qualsiasi titolo”, insomma si tratta di un solenne appello agli elettori americani, affinché difendano la democrazia del Paese. Direttamente dallo Studio Ovale, Biden ha spiegato la sua decisione di rinunciare alla candidatura per la rielezione, e la scelta di sostenere la vicepresidente Kamala Harris. Gli endorsement sono una peculiarità delle campagne elettorali statunitensi. Concedere l’endorsement vuol dire sostenere pubblicamente un candidato a una carica pubblica. Questi endorsement possono essere importanti per molte ragioni, la dichiarazione pubblica, con cui si fornisce il proprio sostegno a un candidato, concede visibilità a quest’ultimo, legittima il candidato e la validità delle sue proposte, soprattutto se il sostegno proviene da personalità politiche di grande rilievo. Inoltre, l’endorsement può avere il doppio scopo d’influenzare sia gli elettori, che altri leader politici. Una conseguenza di tutto ciò è la mobilitazione degli elettori e un aumento della raccolta fondi per la campagna. Questo è stato fatto da Biden che ha usato il suo primo discorso pubblico dopo l’annuncio di domenica di farsi da parte per esprimere un implicito ripudio dell’ex presidente Donald Trump, definendolo, ma senza nominarlo, “una minaccia esistenziale per la democrazia”.
Nel suo discorso di dieci minuti, Biden ha cercato di definire come verrà ricordato il suo unico mandato, facendo notare cone niente possa ostacolare la salvezza della democrazia statunitense.
Biden, la rinuncia alla ricandidatura nei libri di storia
Biden ha ricordato la sua lunga carriera politica, che sta volgendo al termine dopo mezzo secolo, evidenziando il suo sacrificio di aver messo da parte l’ambizione personale. Biden è comunque consapevole che la sua rinuncia alla ricandidatura rimarrà nei libri di storia, perché un fatto del genere non accadeva addirittura dal 1968, quando il presidente Lyndon Johnson annunciò che non avrebbe cercato la rielezione nel pieno della guerra del Vietnam. “Ho deciso che il modo migliore per andare avanti è passare la torcia a una nuova generazione”, sono queste le testuali parole di Biden, che ha anche aggiunto di ritenere che il suo curriculum sarebbe stato meritevole di un altro mandato, senza citare però gli strafalcioni commessi negli ultimi tempi e soprattutto la terribile performance durante il dibattito contro Trump, affermando di voler dare spazio a “voci nuove, voci più giovani”.
Biden sa che comunque il suo ritiro lo consacra come un grande protagonista della storia degli Stati Uniti, definendolo il modo migliore per unire il partito e la Nazione. Durante questo suo discorso, naturalmente trasmesso in diretta dalle principali reti televisive e via cavo, Biden ha stilato una lista di cose da fare per gli ultimi sei mesi del suo mandato, impegnandosi a rimanere concentrato sull’attività di presidente fino all’ultimo giorno alla Casa Bianca, il 20 gennaio 2025, a prescindere dall’esito elettorale del 5 novembre 2024.
Biden ha ribadito che lavorerà alacremente per porre fine alla guerra tra Israele e Hamas a Gaza, si batterà per aumentare il sostegno del governo alla cura del cancro, affronterà il gravoso problema del cambiamento climatico e spingerà fortemente per la riforma della Corte Suprema. “La cosa bella dell’America è che qui non governano re e dittatori”, ha detto esplicitamente Biden, lanciando frecciate ai governatori di altre nazioni importanti, perché “È il popolo che governa. La storia è nelle vostre mani. Il potere è nelle vostre mani. L’idea stessa dell’America è nelle vostre mani”, sono state queste le parole di Biden, senza però citare apertamente la corsa di Kamala Harris alla presidenza. Comunque i suoi consiglieri hanno spiegato in quale modo Biden intenda organizzare gli eventi di campagna e le raccolte fondi a favore di Harris, che il presidente ha elogiato come donna “dura” e “capace”.
Infine Biden ha detto di essere grato di aver servito come presidente il suo Paese, perché in nessun altro posto un bambino, che era stato balbuziente, sarebbe cresciuto così tanto, da sedere addirittura nello Studio Ovale della Casa Bianca. Il finale è stato quasi commovente con queste testuali parole : “Ho dato il mio cuore e la mia anima alla nostra Nazione e in cambio sono stato benedetto un milione di volte”. Ma il ricchissimo Trump, che ha assistito al discorso del suo ex competitor dal suo jet personale, ha scritto su i suoi profili dei social media, che il presidente è stato a malapena comprensibile, ironizzando ancora sul suo stato psico fisico, ritenuto assolutamente confusionale.
Protagonista senza ancora un’incoronorazione: Kamala Harris
Da parte sua, la vicepresidente Kamala Harris sta verificando ancora la possibilità un confronto “vero” con gli sfidanti del partito democratico, non ricevendo ancora una “incoronazione”, anche se gli sfidanti dopo il sostegno dei coniugi Clinton sembrano ormai essere apertamente di minoranza, con nessuna possibilità di batterla, ma desiderosi solo di dare voce ad argomenti e cause ben individuate e precise. Prima della convention di Chicago, prevista dal 19 al 22 agosto, una delle scelte più importanti per Kamala Harris sarà quella di indicare il suo candidato alla vicepresidenza.
In effetti dal punto di vista delle regole del partito democratico potrebbe indicarlo direttamente alla convention di agosto, ma sembra più probabile che lo faccia prima, allo scopo di ottenere ulteriori consensi in settori ampi del partito. I nomi che circolano in questi giorni sui media statunitensi sono quelli di alcuni governatori democratici di Stati politicamente importanti per il particolare meccanismo elettorale delle elezioni presidenziali, vale a dire, Josh Shapiro, 51 anni, governatore della Pennsylvania; Roy Cooper, governatore del North Carolina; Wes Moore, governatore del Maryland; Andy Beshear, 46 anni, governatore del Kentucky eletto e poi rieletto ancora in uno stato a forte trazione Repubblicana; Mark Kelly, senatore dell’Arizona, ex astronauta e marito di Gabrielle Giffords, ex deputata che si salvò miracolosamente, dopo che fu colpita alla testa nell’attentato del 2011. Il risultato della convention di Chicago del partito democratico appare scontato, perché secondo la Cnn Harris ha già raccolto un forte sostegno nelle fila dei democratici, con oltre 500 delegati già pronti ad appoggiarla in attesa della convention nazionale.
Sempre l’emittente all-news statunitense riferisce che Harris, era una delle pochissime persone informate della decisione del ritiro di Biden, e già la mattina del 21 luglio, ha trascorso tante ore telefonando a decine e decine di persone autorevoli del partito, membri del Congresso, governatori, dirigenti sindacali e leader di organizzazioni impegnate per la difesa dei diritti civili.
Un altro segnale importante riguarda la campagna per le presidenziali, perché Kamala Harris è già ufficialmente alla guida di quella che, fino a poco tempo fa, era ancora la campagna per la rielezione di Joe Biden. Secondo i documenti presentati alla Federal Election Commission, la campagna ha cambiato il nome da ‘Biden for President’ a ‘Harris for President’ Ma anche negli Stati Uniti la democrazia è insita soprattutto nella forma, e la decisione su chi prenderà il posto di Biden come candidato dei democratici alla Casa Bianca spetta comunque ancora ai circa 4000 delegati, che prenderanno parte alla convention del partito a Chicago, che si riunirà dal 19 al 22 agosto.
Questi delegati avrebbero dovuto confermare il risultato delle primarie vinte da Biden, praticamente senza avversari, con oltre il 90% dei 3.900 delegati totali già ottenuti. Questi voti non passeranno automaticamente alla vice presidente Kamala Harris, perché almeno in teoria i delegati saranno liberi di votare, per qualsiasi candidato vorranno.
In ogni caso se venisse eletta alla presidenza degli Stati Uniti non sarebbe solo Kamala Harris a fare la storia, ma anche il marito Douglas Emhoff, e questo a prescindere dalla profezia dei Simpson, i famosissimi cartoni animati per adulti, che furono già protagonisti di diverse previsioni indovinate in modo clamoroso. Se Harris conquistasse la Casa Bianca, Emhoff sarebbe il primo Sgotus, Second Gentlemen of the United States, a figurare nei comunicati ufficiali della Casa Bianca, vale a dire con l’indicazione esplicita di consorte della Presidente degli Stati Uniti.
Questo ruolo è stato detenuto sempre da donne, fin dai tempi di Martha Dandridge Custis, sposa del primo Presidente George Washington. Il marito di Kamala Harris svolgeva la professione di avvocato a Hollywood, fino a quando non ha dovuto seguire la moglie a Washington, per il suo ruolo di vice presidente degli Stati Uniti. Emhoff aveva già fatto parlare di sé quando nel gennaio 2021, primo marito nel ruolo, si era trasferito con la vicepresidente Harris nella capitale statunitense.
Le parole dell’avvocato Douglas Emhoff sono state sicuramente significative a riguardo: “Dovrei essere il primo e non vorrei essere l’ultimo”, ed esplicitate testualmente quando il suo nuovo titolo era stato ormai ufficialmente riconosciuto dal dizionario Merrian Webster. Il consorte della vice presidente degli Stati Uniti tra il 2020 e il 2021, mentre ancora i governi facevano i conti con la terribile pandemia di COVID-19, visitò ben trentuno Stati, ascoltando le voci degli elettori e battendosi con tutte le sue forze contro la disinformazione imperante all’epoca sui vaccini.
“L’aver studiato da avvocato mi ha insegnato l’importanza di ascoltare, di cercare di capire la gente, e i problemi“, disse Emhoff, collocandosi addirittura sulla scia di storiche Second Lady come Pat Nixon e Barbara Bush, in un ruolo apparentemente defilato, ma che può essere considerato centrale per avere un polso del Paese, ancora più utile quando poi il consorte era diventato Commander in Chief.
L’avvocato Emhoff è un sessantenne originario di Brooklyn, che ha conosciuto la moglie Kamala nel 2013, attraverso un appuntamento al buio, organizzato da un’amica. Dopo un anno, nel marzo del 2014 Emhoff, che ha avute due figlie, Cole e Ella, dal primo matrimonio, chiese a Harris di sposarlo, regalandole uno splendido e costoso anello di fidanzamento di platino e diamanti. Il matrimonio venne celebrato nel mese di agosto a Santa Barbara e ci furono due rituali.
Kamala ruppe un bicchiere come richiede la tradizione della fede ebraica del marito Douglas, mentre lui si mise al collo una ghirlanda di fiori, in omaggio alle origini della moglie, che è indiana per parte di madre.
La madre di Kamala Harris si chiamava Shyamala Gopalan, ed era una scienziata, che fece una carriera brillante, dedicandosi alla ricerca sui tumori al seno. La madre scomparsa nel 2009, ha trasmesso alla sua primogenita, nata nel 1964 dal matrimonio con l’economista afro-americano di origini giamaicane, Donald Harris, un orgoglio profondo per le sue radici tamil, e il rispetto per le tradizioni finanche religiose della sua India.