Il sessantatreenne Dario Franceschini e il quarantaseienne Matteo Renzi sono divisi da una generazione politica, ma uniti da Benigno Zaccagnini, esponente autorevole dalla vecchia DC, fino al Partito Democratico, passando per il Partito Popolare e la Margherita.
Per gli amici “Red e Toby”
Alcuni amici in comune li chiamano “Red e Toby” a simboleggiare i “nemiciamici” del cartone di Walt Disney, che vede protagonisti una volpe e un cane da caccia, che pur entrando in rotta di collisione per fatti naturali, finiscono poi per tornare sempre amici.
Questi comuni amici hanno trovato la giusta metafora per definire il rapporto tra i due importanti uomini politici, che nonostante gli aspri scontri, si ritrovano spesso nella ricerca di un obiettivo comune, come dimostra ampiamente la loro storia.
Nel 2012 Franceschini si allea con Bersani per sconfiggere Renzi alle primarie del PD, ma successivamente dopo la fine del governo Letta, al quale subentra Renzi, entra comunque nel suo governo da ministro dei beni culturali.
Red e Toby, sempre in sintonia
In tempi più recenti Franceschini è furioso nei confronti di Renzi, quando come leader del suo nuovo partito, Italia viva, fa finire il governo giallorosso di Giuseppe Conte. Ma a differenza dei rapporti sempre freddissimi con Letta dallo “stai sereno” del governo del 2012, Matteo Renzi e Dario Franceschini non hanno mai interrotto la loro sintonia, seppure ora militino in partiti diversi e lo fanno perché non solo si vogliono bene, ma soprattutto per interessi machiavellici.
Infatti in questi anni nelle varie partite politiche entrambi sono usciti spesso vincitori e ora Capodanno è il momento migliore per farsi gli auguri e mettere in campo una strategia per gli appuntamenti imminenti delle elezioni per il Quirinale e il possibile cambio di governo a Palazzo Chigi.
A Capodanno puoi…
Renzi ha dimostrato la sua abilità nella mossa del cavallo, per usare una metafora scacchistica a lui cara, e il comune obiettivo è rappresentato questa volta dal fatto che o sul Quirinale o al governo ci debba essere assolutamente un ritorno della politica, per arrivare “serenamente” alla scadenza naturale della legislatura.
Renzi si attribuisce il merito di aver salvato l’Italia, grazie alle sue manovre per portare Mario Draghi a Palazzo Chigi, ma ora è convinto che, per eleggerlo alla presidenza della Repubblica, sia necessario un accordo politico molto forte, affinché a Palazzo Chigi possa recarsi un personaggio di una certa autorevolezza.
Renzi, tra le varie ipotesi ritiene molto suggestiva e credibile, quella del suo amiconemico Dario Franceschini come nuovo presidente del Consiglio, assieme naturalmente a Draghi sul Colle.
Renzi e Franceschini immaginano anche una nuova maggioranza di governo, quella denominata Ursula con dentro tutte le forze europeiste e fuori i sovranisti della Lega.
Franceschini in questo modo otterrebbe quello che Renzi non li concesse dopo il referendum costituzionale perso nel 2016, quando preferi’, come suo successore a Palazzo Chigi, Paolo Gentiloni, facendolo arrabbiare non poco.
Tessitori e showman
Nel grande accordo tra “Red e Toby” o se preferite dell’ex tandem del PPI, è prevista pure una riforma costituzionale, per adattare finalmente il sistema istituzionale al taglio dei 345 parlamentari, in uno scenario studiato nei dettagli dai due abili manovratori, che negli ultimi dieci anni sono stati i grandi protagonisti della politica italiana, quasi sempre per garantire la governabilità, ma soprattutto i rispettivi ruoli in posti chiave.
A questo proposito giova ricordare che Dario Franceschini è stato sempre ministro negli ultimi governi, tranne quello gialloverde, a dimostrazione della sua esperienza maturata sul campo fin dai tempi in cui militava nella sinistra DC, che lo ha portato a diventare pure segretario del PD nel 2009 dopo le dimensioni di Walter Veltroni e poi addirittura ad essere il capo indiscusso della corrente, chiamata AreaDem, la più grande e potente all’interno dello stesso partito.
Insomma Franceschini ama tessere la tela, muovendosi abilmente sotto traccia mediatica, mentre Matteo Renzi preferisce stazionare sempre sotto la luce dei riflettori, da quando ha iniziato la sua prodigiosa carriera politica nel partito popolare italiano ed è diventato prima presidente della Provincia e poi Sindaco di Firenze, sempre eletto direttamente dal popolo. Successivamente è stato capace di diventare segretario del PD, sempre partecipando a votazioni dirette, fino a farsi designare presidente del Consiglio nel 2013.
Infine la sua mossa più sorprendente è stata la fondazione del nuovo partito, Italia viva, dopo aver abbandonato il PD e dichiarato di voler lasciare la politica in seguito alla pesante sconfitta del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, perché con una forza politica di dimensioni ridotte è riuscito comunque a condizionare, se non addirittura a determinare la politica italiana, a partire dalla fine del governo gialloverde di Conte.