Israele e Palestina: storia di un conflitto irrisolto


Continuano gli scontri tra israeliani e palestinesi in quella che è diventata da anni una convivenza impossibile. Dopo la decisione del governo di chiudere la porta di Damasco, una delle vie d’accesso per Gerusalemme, città simbolo della Palestina. Un conflitto che affonda le sue radici nel 1948, con la nascita dello Stato di Israele. È da quest’arco temporale che dobbiamo partire per capire il conflitto. Durante la Seconda Guerra Mondiale, le persecuzioni da parte dei tedeschi nei confronti degli ebrei. La popolazione in Israele durante quel periodo passò da 80mila a 400mila persone, e la convivenza tra ebrei e musulmani divenne sempre più difficile fino a sfociare nella Grande rivolta araba del 1936, in cui gli arabi palestinesi insorsero contro i coloni di origine ebraica.

La nascita dello Stato d’Israele all’indomani della Seconda guerra mondiale

Gli arabi lamentavano già trent’anni prima la facilità con cui la Gran Bretagna favoriva l’immigrazione ebraica; la stessa è di fatto aumentata durante la persecuzione degli ebrei, prima dalla Germania, poi dall’Italia. Alla fine della secondo grande conflitto mondiale, gli ebrei, con l’appoggio ideologico dell’Occidente, vedevano nella creazione dello Stato d’Israele un riscatto per le atrocità subìte nella Shoah. Nel 1947 intervenne l’Onu che stabilì la nascita di due stati differenti: quello della Palestina e quello di Israele. Pace fatta, si direbbe, ma non fu così. Lo Stato di Israele occupava metà del territorio totale, mentre invece la Palestina costituiva una porzione di confine, molto più piccola e infertile, rispetto al versante opposto. I palestinesi insorgono nuovamente a causa di questa spartizione ingiusta. Gerusalemme, invece, divenne una zona franca gestita direttamente dall’Onu; gli ebrei accettarono il compromesso, gli arabi no. Appena il territorio venne lasciato libero dalla Gran Bretagna (che fino a quel momento vi stanziava) cominciarono i conflitti. Il 15 maggio 1948 lo Stato di Israele venne attaccato dagli eserciti di Egitto, Siria, Libano, Iraq e Transgiordania.

L’esilio forzato dei palestinesi e l'”aspra contesa” di Gerusalemme

Migliaia di palestinesi furono costretti ad abbandonare le proprie case; un esilio costretto che i palestinesi “si legarono al dito”. Gerusalemme Ovest venne occupata da Israele, assieme alla Striscia di Gaza. La Città Santa entrò così in una condizione di guerra che permane ancora oggi: una metà controllata da Israele, l’altra metà controllata dalla Giordania. Gli stati arabi limitrofi cacciarono gli ebrei, giacché la loro presenza era divenuta insostenibile, e si rifugiarono in Israele, aumentando a dismisura la presenza ebraica. Oggi la Palestina comprende la Striscia di Gaza e una parte della Cisgiordania. Sarebbe lungo ricostruire dal punto di vista politico, da discutere in altre sedi, ma basta capire l’incipit per comprendere come i due popoli siano una vera e propria polveriera pronta ad esplodere da un momento all’altro. Non solo il motivo politico, ma anche quello religioso merita particolare attenzione.

Gerusalemme: la Città Santa simbolo del conflitto

Gerusalemme, è qui che dobbiamo focalizzare la nostra attenzione; città cardine per i cristiani, luogo della Passione di Cristo e della sua predicazione, ma non solo. Gerusalemme è un punto di riferimento anche per gli arabi; il luogo della rivelazione a Maometto 621 anni dopo Cristo. Per gli ebrei a Gerusalemme è presente il Muro del Pianto, quello che rimane dell’antico tempo di Gerusalemme, luogo sacro in cui gli ebrei si radunano a pregare. Con l’ultima iniziativa del governo israeliano, la chiusura della Porta di Damasco per evitare assembramenti, i palestinesi si sono visti privati ancora una volta della propria libertà da parte degli israeliani. E così da un po’ di giorni a questa parte si susseguono attacchi missilistici che hanno costretto i palestinesi a lasciare ancora una volta la Striscia di Gaza, Si dice che chi riuscirà a portare la pace in Israele, sarà capace di farlo in tutto il mondo, ma questo momento deve ancora arrivare.

Gli appelli della politica e del Vaticano per il “cessate il fuoco”

L’influenza della politica estera non pare sortire particolari effetti, se non momenti di tregua che non sono altro che una “quiete prima della tempesta”. Se la politica non ha effetto sul conflitto, potrebbe riuscirci la Chiesa? Non basta l’ONU ad invocare un “cessate il fuoco”, come ha fatto nei giorni scorsi, la questione è molto più delicata, così anche il Vaticano si è intersecato nelle questioni politiche, già in passato con Giovanni Paolo II, che aveva colpito nel segno: “È l’ingiustizia la radice della mancanza di pace. Solo con i diritti si può garantire la riconciliazione”, affermò durante un suo accorato appello all’ennesimo abbandono alle armi. Papa Francesco ci ha riprovato più recentemente rivolgendo il suo appello: Mi chiedo: l’odio e la vendetta dove porteranno? Davvero pensiamo di costruire la pace distruggendo l’altro? In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro” invitando i due popoli a trovare una soluzione.

I bambini, le vittime innocenti del conflitto israelo-palestinese

Dati alla mano dell’Unicef, il più piccolo aveva solo 4 anni, il più grande 15. Attaccate anche le strutture educative, un grave danno per l’istruzione dei più piccoli, da anni vittime senza colpa di questo conflitto. La guerra “a singhiozzi” tra questi due popoli, ci insegna purtroppo l’inapplicabilità degli appelli di pace di matrice cristologica, che a poco servono se non coadiuvati da definitivi accordi tra le parti con le due fazioni sedute al tavolo delle trattative. L’ultimo tentativo è quello dell’Egitto, che ha chiesto tramite canali privati delle tv israeliane una tregua dal conflitto. L’Europa e il resto del mondo continuano ad assistere impotenti a questo spettacolo di distruzione di fratellanza tra i popoli.

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