Le dimissioni di Zingaretti scuotono il PD


La decisione del segretario del PD dovrà essere ratificata dall’Assemblea nazionale del partito già convocata per il 13 e 14 marzo.

Le dimissioni di Zingaretti

Zingaretti nel post su facebook ha avuto parole durissime sulle componenti del suo partito interessate a suo dire solo a poltrone e primarie, mentre l’Italia è alla prese con la terribile terza ondata della pandemia e in generale ha motivato le sue dimissioni per la mancanza di collaborazione e solidarietà nel suo partito, auspicando che il suo gesto possa servire a fare assumere a tutti le proprie responsabilità.

In pratica le sue dimissioni devono servire a fare assumere all’Assemblea nazionale le scelte più opportune ed utili per uscire dalla difficoltà che vive il partito, impegnato da poche settimane nel sostegno al nuovo governo Draghi.

Solo una mossa tattica?

Sono tanti gli inviti che gli sono stati rivolti a ripensare al suo gesto e a ritirare le dimissioni, non solo dalla maggioranza interna al suo stesso partito, ma anche da altre forze politiche come il movimento 5 stelle attraverso il leader Giuseppe Conte. Ma alcuni esponenti importanti del PD non si esprimono perché sospettano che quella di Zingaretti sia solo una mossa tattica per farsi riconfermare dall’Assemblea, rafforzando la sua influenza contro le minoranze interne e le alternative possibili che potrebbero essere rappresentate dal presidente della giunta regionale dell’Emilia Romagna Bonaccini, già forte di un certo consensi tra i democratici o da quelle, che però sono ancora in una fase di possibile costruzione, rappresentate dai sindaci di Bergamo e Firenze, Gori e Nardella.

E’ possibile che esista un partito senza correnti?

Le parole durissime che hanno accompagnato le dimissioni di Nicola Zingaretti nei riguardi del Partito Democratico devono, a mio avviso, fare soprattutto riflettere sul sistema delle correnti, un vizio originario del PD, che sembra affliggere meno gli altri partiti.
In generale è giusto chiedersi se sia davvero possibile che esista un partito senza correnti.

In questo caso però il partito sarebbe solo un grosso contenitore come in effetti sono stati a lungo sia Forza Italia, che anche il movimento 5 stelle, dotati al momento della nascita e del loro consolidamento di una struttura monolitica più aziendale che democratica.

Un grande politico socialista come Francesco De Martino, già all’inizio degli anni ottanta, al termine della suo periodo di segretario alla guida del PSI, iniziò a dedicare le sue energie e le sue riflessioni alla natura e alle prospettive del socialismo e dei partiti.
Francesco De Martino sosteneva che non era possibile fare a meno delle correnti perché riteneva impossibile, in uno spazio realmente democratico, che non ci si dividesse sulle idee o sui metodi per realizzarle. Gli sembrava una condizione connaturata alla democrazia e persino alla natura umana. E se questa opinione, in lui forte e radicata, nasceva dall’esperienza socialista, nondimeno avvertiva che simili pulsioni erano vive anche negli altri due partiti di massa, la DC e il PCI, dove però notava, forse con una punta di invidia, che era molto più forte la capacità di sintesi.

Le correnti se però sono un fattore inevitabile di un partito realmente democratico sono d’altro canto anche un grosso rischio. Infatti la dialettica democratica eccessiva tra le componenti correntizie organizzate può creare le condizioni per giungere a traumatiche scissioni, come insegna la storia del PSI, che ne è stata costellata dal lontanissimo anno della sua fondazione a Genova.

Le correnti inoltre possono perdere la loro “funzione” originaria e diventare tristemente mezzi per soddisfare interessi e null’altro.
Purtroppo è quello che è successo nella storia del PD fin dalle sue origini, come peraltro era accaduto in modo abbastanza simile anche nella parte finale della fase craxiana del PSI.

Secondo quindi la lezione di De Martino e delle esperienze precedenti nei partiti di massa come appunto erano la DC, il PCI e il PSI, Ie correnti, intese come gruppi di pensiero e piattaforme politiche alternative interne alle stesse formazioni politiche, possono essere considerati strumenti sani ed utili e forse addirittura indispensabili.

Le correnti, che invece assumono all’interno di partiti come il PD il ruolo di gruppi di potere e basta, senza differenze politiche, ma solo di interesse per raggiungere come ha sottolineato Zingaretti solo poltrone e posizioni di potere, sono inevitabilmente strumenti insani e degenerativi.

Insomma bisogna che all’interno dei partiti ci sia una salutare dialettica, che questa non degeneri in lotta di potere fine a se stessa, ma sia utile per trovare le migliori soluzioni non solo per governare il partito, ma soprattutto per fare gli interessi generali del nostro paese, soprattutto in un periodo di pandemia così drammatico, che ha acuito terribilmente la crisi sanitaria ed economica che stiamo attraversando ormai da oltre un anno. Il PD è chiamato ad una profonda ristrutturazione per essere all’altezza delle sfide di governo.

(foto di repertorio)

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