Napoli, 20 Maggio 1647 – La notizia è arrivata subito come un vero e proprio fulmine a ciel sereno; Bernardina, sua moglie, stamane, tornando da Piazza Mercato, è stata arrestata; non ha voluto pagare l’ennesima gabella, questa volta sulla farina che, felice, stava portando a casa. A quel tempo Napoli è una delle città più affollate d’Europa ma, purtroppo, la popolazione è oppressa pesantemente da tasse ormai impossibili da sostenere, tant’è la miseria del popolo che, per volontà del Viceré di Filippo V di Spagna: il Conte d’Arcos, si ritrova alla mercé non solo delle tasse, ma ancor di più delle sette caste nobiliari che si affiancano agli spagnoli obbligando i più deboli a sacrifici e miserie.
Masaniello, disperato fa il possibile affinché sua moglie venga scarcerata e ci riesce solo dopo lunghe trattative che si concludono con il pagamento di una ingente somma di denaro che lo mette in difficoltà seria.
Ormai è indispettito e stremato per la voluta povertà sua e quella dei tanti che ogni giorno si recano in quella piazza che dal 1200, per volere di Roberto d’Angiò,è diventata il centro del commercio di Napoli. Masaniello quì ha il suo banco del pesce e qui è conosciuto da tutti:è vizioso, orgoglioso, prepotente, ma estremamente simpatico e gioviale.
I suoi cognati sono il salumaio ed il fruttivendolo del quartiere Pendino;conosce tutti ed è sempre pronto ad intervenire nelle più accese discussioni. Ora ha un unico obiettivo: vendicarsi e l’occasione, si sa, prima o poi arriva! E’ la prima settimana di giugno, i banchi del mercato sono veri e propri vassoi ricolmi di frutti della terra dai colori sgargianti: n tanti sperano che il ricavato della giornata possa alleviare in qualche modo le difficoltà incombenti: un vestito per un figlio o solo, semplicemente, qualcosa in tavola da mangiare: speranza, anche oggi, vana poiché, senza preavviso, è stata introdotta una nuova gabella, quella sulla verdura.
E allora accade che nella notte tra il 6 ed il 7 giugno viene appiccato il fuoco al casotto delle gabelle; all’alba del giorno seguente, dal suo banco del pesce (che ne diventa il pulpito) a soli 27 anni, Tommaso Aniello d’Amalfi, a piedi scalzi, riesce ad organizzare e guidare una vera e propria “rivoluzione”; convoca a sé gli “alarbi”, ossia quei ragazzi che nelle settimane successive avrebbero dovuto partecipare alla festa della Madonna del Carmine e li scaglia contro i gabellieri facendogli lanciare arance e pietre.
In pochissimo tempo riesce ad organizzare poveri e corporazioni che con un solo grido: “Viva il Re di Spagna, mora il mal governo e fora le tabelle”, si impadroniscono della città. E’ soltanto il 13 luglio quando, durante una cerimonia, devastato dall’insonnia e dall’ alcol comincia a dare, purtroppo ,i primi segnali di cedimento; la paura del complotto lo assale di continuo; addirittura, durante il suo ultimo discorso nella Chiesa del Carmine si spoglia in pubblico.
Sono i suoi stessi amici ad ucciderlo a colpi di fucile; la sua testa consegnata personalmente al Duca d’Arcos. Dopo qualche giorno il popolo reclama il corpo dell’eroe che, a questo punto, a buona ragione temeva il tradimento.
Masaniello viene sepolto, così, con tutti gli onori nella Chiesa del Carmine fino al 1799, anno in cui Ferdinando di Borbone ne ordina la dispersione delle ceneri. Piazza Mercato, dunque, in origine, solo un luogo esterno al perimetro urbano che diviene sede mercatale sotto Roberto d’ Angiò (1200), nello stesso tempo è scelta quale scenario a delle esecuzioni capitali più importanti avvenute in città.
Corradino di Svevia, il 29 ottobre 1268, è il primo protagonista di tali drammatici eventi; ultima, ma non per importanza, l’11 settembre 1800, Luisa San Felice, passata alla storia quale “icona” della rivoluzione giacobina napoletana.