Politica: Si lotta per i simboli del passato

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Sono passati tre decenni da Tangentopoli, ma non c’è ancora pace per lo scudo crociato perché continua la guerra tra i democristiani sopravvissuti alla Seconda Repubblica, che cercano ancora una identità nella Terza. Ad accendere il dibattito su chi può legittimamente usare simbolo e nome della vecchia DC è l’attuale deputato di Fratelli d’Italia Gianfranco Rotondi che, in “veste di rappresentante legale dell’ultimo partito democristiano rimasto in Parlamento” annuncia all’Adnkronos di aver presentato un esposto alle massime cariche dello Stato, dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al premier Giorgia Meloni e al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, per denunciare il ‘furto’ di nome e simbolo della DC.
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Nel mirino dell’ex ministro di Forza Italia ci sono alcune ‘associazioni’ che rivendicano, senza averne titolo giuridico, l’utilizzo dello storico emblema democristiano con la scritta ‘Libertas’. “Ho fatto questo esposto , spiega Rotondi, pronto anche ad adire le vie legali, per denunciare una strategia coordinata di aggressione al suo partito, attraverso l’improvvisa proliferazione di numerose formazioni politiche, che dichiarano di essere la Democrazia cristiana ed eleggono addirittura un segretario politico.
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Di fronte a tanta confusione l’esposto per Rotondi è una diffida, intesa come atto preliminare a una iniziativa giudiziaria, che potrebbe essere necessaria in caso di persistenza dei comportamenti delle tre formazioni politiche. La denominazione ‘Democrazia Cristiana’ resta in “esclusiva” ancora in capo a “Gianfranco Rotondi” perché “l’utilizzo dello scudo crociato è stato concesso “all’Udc dall’Associazione ‘Democrazia Cristiana’, fondata da De Gasperi, che non si è mai sciolta ed ha proseguito l’attività nel Partito Popolare”.
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La prima delle tre formazioni politiche che hanno preso il vecchio simbolo della balena bianca è la”Democrazia cristiana” alla quale ha aderito l’ex ministra del movimento cinque stelle Elisabetta Trenta e i cui segretario e coordinatore nazionale sono Antonio Cirillo e Fabio Desideri. Poi in Sicilia c’è la “Democrazia Cristiana” di Totò Cuffaro e la terza formazione politica è quella creata da Angelo Sandri denominata “Democrazia Cristiana Italiana”, dalla quale c’è stata la scissione di Pino Pizza, a sua volta fondatore di un partito pure chiamato “Dc”.
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Insomma appare complicato ricostruire la vicenda del nome e del simbolo della vecchia Democrazia cristiana, ma sicuramente è stato l’ultimo segretario del Partito popolare italiano, Pierluigi Castagnetti, ad affidare il nome in via esclusiva a Gianfranco Rotondi, pur continuando a conservare il codice fiscale del vecchio partito. Il paradosso è che Gianfranco Rotondi, pur essendo l’unico che può vantare il nome della DC, non lo utilizza in Parlamento perché è stato eletto con il partito di Giorgia Meloni, ma continua a presentare esposti per diffidare i tanti tentativi di emulazione del nome e del simbolo scudo crociato.
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La questione del PSI invece è diversa, perché nel 1993 Craxi diventò il simbolo in negativo di quanto stava accadendo in Italia e il 30 aprile di quell’anno, fu atteso in serata da una piccola folla in Largo Febo, davanti all’hotel Raphaël, l’albergo che da anni era la sua dimora romana. Tra i contestatori c’erano sia facinorosi di sinistra, reduci dal comizio di Occhetto, che molti di destra, tra i quali diversi sostenitori del Msi, con Teodoro Buontempo che arrivò con due sacchettini pieni di monete da 50 e 100 lire.
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Bettino Craxi scelse di uscire dall’ingresso principale e non da una via di fuga sul retro e così i manifestanti lo insultarono pesantemente, lanciando le monetine, ma anche sampietrini, mozziconi di sigaretta e perfino cocci di vetro. Altri comunisti e fascisti mostravano banconote da mille lire, cantando “Bettino vuoi pure queste?”.
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Craxi, che in un’intervista successiva definì quell’episodio un esempio di squadrismo, salì sull’auto con la scorta e grazie a un cordone di poliziotti in tenuta antisommossa, riuscì ad allontanarsi. L’intera scena venne immortalata solo da due telecamere di Rai e TG4 e resta la testimonianza di un’unica foto, scattata in maniera rocambolesca dal photoreporter Luciano Del Castillo.
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La contestazione del 30 aprile 1993 a Roma segnò la fine politica di Craxi, che nello stesso anno testimoniò in una celebre udienza al processo Cusani. L’anno dopo non venne ricandidato nella nuova legislatura e si trovò senza più immunità parlamentare. La prospettiva di un arresto portò al ritiro del passaporto, ma lui era già in Tunisia, ad Hammamet e subì due condanne definitive per corruzione e finanziamento illecito al partito, morendo nel suo esilio nordafricano il 19 gennaio 2000, mentre erano in corso altri quattro processi contro di lui. Fino all’ultimo giorno della sua vita respinse l’accusa di corruzione per arricchimento personale e ci fu la proposta di funerali di Stato da parte del presidente del Consiglio D’Alema.

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