In questi giorni di ricordo degli eccidi dei nazisti, in tanti hanno voluto cimentarsi con la comparazione della questione palestinese, ancora attuale nella fase della tregua tra Israele e Hamas appena iniziata.
Il professore cinquantenne di origini veneziane, Simon Levis Sullam, è un ricercatore e storico, che insegna Storia contemporanea all’università Cà Foscari nel Veneto. I suoi interessi si indirizzano in particolare sulla storia d’Italia, la storia politica dell’ottocento e del novecento, la storia degli ebrei, con riferimento alle politiche razziali e lo studio dell’Olocausto soprattutto nell’ambito del regime fascista.
Il professore universitario Simon Levis Sullam ha voluto ricordare come nei primi giorni del 2025 sia stata diffusa la notizia della richiesta del presidente Andrzej Duda al suo governo polacco di concedere l’immunità al premier israeliano Benjamin Netanyahu.
In effetti l’immunità sarebbe stata necessaria per la sua partecipazione in Polonia alla commemorazione dell’ottantesimo anniversario della liberazione del campo di Auschwitz, perché sul premier israeliano pende un mandato di arresto per crimini di guerra e in particolare contro l’umanità nella vicenda di Gaza.
Il paradosso storico è che proprio il presidente della Polonia, una nazione con una storia non certamente benevola nei confronti degli ebrei, chieda di proteggere il più alto rappresentate dello Stato ebraico, per poter permettere la sua partecipazione nel noto campo di sterminio di Auschwitz, mentre il governo di Israele è a sua volta accusato di genocidio.
Il filosofo Giambattista Vico parlava di corsi e ricorsi storici, ma oltre gli sviluppi della vicenda bellica in Medioriente appare concreto il rischio di attuare delle brutte torsioni storiche della memoria della Shoah ottant’anni dopo la fine del secolo conflitto mondiale e, soprattutto, dopo un anno e mezzo di un altro sanguinoso conflitto a Gaza, seguito al massacro subito dagli israeliani il 7 ottobre 2023.
Sullam analizza il rischio delle trasformazioni, che possa subire il ricordo del 27 gennaio, il Giorno della memoria, nel contesto attuale internazionale della guerra di Gaza, sospesa ma non ancora esaurita.
L’osservazione preliminare di Simon Levis Sullam è che non vi possano essere rapporti diretti tra quanto si ricorda per legge il 27 gennaio, la Shoah, e le vicende del conflitto a Gaza. Sono eventi storicamente remoti, che non presentano analogie sostanziali, se non quella di una violenza diversa, che comunque risulta implicata.
Il contesto politico nazionale e internazionale in cui le commemorazioni di gennaio avvengono, dall’anno duemila ad oggi, chiaramente e giustamente si riflettono nelle diverse sensibilità e impostazioni culturali dei vari paesi. In tutti i conflitti hanno un ruolo importante i simboli, e in particolare quest’anno ci sono quelli provocati dallo stillicidio di notizie sul devastante ruolo militare e politico dello Stato ebraico nel corso del conflitto con i palestinesi, seguito all’aggressione di Hamas.
Uno degli inevitabili elementi simbolici implicati nel discorso giuridico e giudiziario è l’evocazione, piuttosto frequente dalle istituzioni internazionali, del tema del genocidio, a proposito delle vicende belliche dal 7 ottobre in avanti.
Secondo Sullam, da parte dello Stato di Israele, non è previsto un progetto genocida nei confronti dei palestinesi di Gaza, ma si può comunque discutere delle conseguenze, che possono essere considerate tragicamente genocidarie ai danni del popolo palestinese.
Il risultato quindi sarebbe analogo, anche se in termini diversi, e saranno solo i giudizi dei Tribunali internazionali o addirittura degli storici del futuro, a stabilire se a Gaza vi sia stato un genocidio. In ogni caso è sbagliato imporre automaticamente il ricordo della recente strage di palestinesi da parte dello Stato di Israele, proprio nel giorno i cui si commemora lo sterminio di sei milioni di ebrei nella Seconda guerra mondiale.
Certamente c’è l’implicazione maggioritaria nella guerra a Gaza di attori ebrei, ma si deve parlare più precisamente di soldati israeliani, perché non tutti sono di religione ebraica e inoltre si potrebbe evidenziare come in questo periodo storico sia possibile identificare altri genocidi, ad esempio quello degli Armeni e quello in Rwanda.
Non bisogna dimenticare che il 27 gennaio non è il giorno del ricordo dei genocidi, ma solo quello dello sterminio ebraico. Ovviamente è giusto riflettere anche sulla violenza a Gaza nel Giorno della memoria, anche se il 27 gennaio ricorda essenzialmente lo sterminio degli ebrei, perché dovrebbe valere come monito per tutte le nazioni del pianeta Terra e offrire in generale una grande lezione di netto rifiuto del razzismo, dell’antisemitismo, ma più in generale dell’odio per l’altro.
Al contempo dalle ceneri della Shoah si dovrebbe avere la capacità di offrire l’insegnamento di una cultura della difesa dei diritti umani. Insomma sul piano culturale ed etico al Giorno della memoria deve essere attribuito un significato universalistico, perché riguarda tutti, non solo gli ebrei o altre minoranze come i rom, similmente colpite dai nazisti assieme ad omosessuali e disabili.
Secondo Sullam al centro del Giorno della memoria deve consolidarsi stabilmente il ricordo della Shoah, ma è assolutamente giusto sviluppare dall’Olocausto ulteriori riflessioni e meditazioni sui fenomeni di intolleranza e violenza più generali, implicati nelle stesse vicende dello sterminio degli ebrei.
Per il professore universitario Sullam gli insegnanti stanno riferendo la presenza nelle loro classi di studenti di diversa provenienza, che non condividono più sul piano strettamente famigliare le memorie legate alla Seconda guerra mondiale, perché molti di loro ormai provengono da contesti, nei quali hanno subito altri tipi di violenza o anche traumi più recenti, mentre altri non possono identificarsi più in una memoria storica chiaramente eurocentrica, essendo giunti dall’Africa o dall’estremo Oriente.
Questi elementi comportano una trasformazione lenta, ma sicuramente costante e considerevole dei quadri sociali della memoria europea e quindi pure italiana, di cui si può, anzi si deve tener conto, secondo filosofi e sociologi, che si rifanno alla teoria di Maurice Halbwachs. Infatti Halbwachs è stato un filosofo e sociologo francese, che ha elaborato una teoria molto conosciuta sulla memoria collettiva. Il filosofo nacque a Reims l’11 marzo del 1877, ma già nel 1879 la sua famiglia si trasferì a Parigi, per seguire il padre, professore di tedesco.
La teoria della memoria collettiva insegna che le cose nel tempo cambiano lentamente, ma inesorabilmente e ciò avviene anche per il contesto e gli attori del ricordo del tragico evento ed è così che adesso al centro del 27 gennaio, oltre alla memoria specifica degli eventi della Shoah, possono stare anche gli altri ricordi molteplici evocati dalla “memoria multidirezionale”, analizzata invece da Michael Rothberg. Rothberg ha mostrato come il ricordo dell’Olocausto si sia riflettuto e abbia anzi mobilitato, nella seconda metà del Novecento, le memorie di altre violenze, sia colonialiste che postcoloniali.
Michael Rothberg è uno studioso americano di letteratura e studi sulla memoria. Attualmente è professore di letteratura inglese e comparata, titolare della cattedra Samuel Goetz del 1939 in studi sull’Olocausto presso l’UCLA, l’Università della California, Los Angeles. È stato pure il direttore e fondatore dell’Initiative in Holocaust, Genocide, and Memory Studies presso l’università dell’Illinois. Dunque nella riflessione attuale non bisogna ricordare solo Auschwitz, ma ci deve essere spazio anche per Gaza, per raggiungere lo scopo di non fare intorpidire le coscienze proprio nel Giorno della Memoria.