Rula Jebreal: Il suo monologo, un pugno allo stomaco

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E’ stato un pugno nello stomaco il monologo che Rula Jebreal ha presentato alla 70esima edizione del Festival di Sanremo

Lei aveva la biancheria intima quella sera? Si ricorda di aver cercato su internet il nome di un anticoncezionale quella mattina? Lei trova sexy gli uomini che indossano i jeans? Se le donne non vogliono essere stuprate devono smetterla di vestirsi da poco di buono”.

Inizia così il monologo, con le domande più frequenti che vengono poste in Tribunale alle donne che hanno avuto il coraggio di denunciare.

“Non siamo mai innocenti”

“Non siamo mai innocenti, perché abbiamo denunciato troppo tardi, o troppo presto. Perché siamo troppo belle o perfino troppo brutte. Perché eravamo troppo disinibite e ce lo siamo meritato”.

Continua così il monologo. La tensione sale e le lacrime iniziano a farsi vedere, negli occhi di Rula Jebreal, ma anche negli occhi dei presenti in sala e in quelli dei telespettatori.

Il monologo viene intervallato dalla lettura di alcuni brani musicali: La cura di Battiato, Sally di Vasco Rossi, La donna cannone di Francesco De Gregori, C’è tempo di Ivano Fossati.

“Il carnefice ha le chiavi di casa”

Poi la Jebreal, trattenendo a stento la commozione, con gli occhi lucidi, racconta di essere cresciuta in un orfanotrofio insieme a centinaia di bambini. La sera si raccontavano favole tristi, “di figlie sfortunate e di mamme stuprate, torturate ed uccise”.

Nell’80 per cento dei casi il carnefice ha le chiavi di casa, ci sono le sue impronte sullo zerbino, il segno delle sue labbra sul bicchiere”.

Il momento del racconto più doloroso

“Mia madre, che tutti chiamavano Nadia, ha perso il suo ultimo treno quando io avevo 5 anni. Si è suicidata dandosi fuoco. Ma il dolore è una fiamma lenta che ha cominciato a salire quando ero adolescente. Il suo corpo era qualcosa di cui voleva liberarsi, era stato il luogo della sua tortura perché mia madre fu brutalizzata e stuprata due volte: a tredici anni da un uomo, poi da un sistema che l’ha costretta al silenzio, perché le ferite sanguinano di più quando non sei creduta. L’uomo che l’ha violentata per anni era con lei mentre le fiamme divoravano il suo corpo. Aveva le chiavi di casa”.

“Non si chieda mai più a una donna che è stata stuprata com’era vestita quella notte”

“Lasciateci essere quello che siamo e vogliamo essere. Madri di dieci figli o di nessuno, casalinghe o in carriera. Siate nostri complici, compagni e indignatevi quando qualcuno ci chiede che cosa abbiamo fatto per meritare quello che ci è accaduto. Domani domandatevi com’erano vestite le conduttrici di Sanremo, ma non si chieda mai più a una donna che è stata stuprata com’era vestita quella notte. Mia madre ha avuto paura di quella domanda. Noi donne vogliamo essere libere nello spazio, nel tempo, vogliamo essere silenzio, rumore. Vogliamo essere proprio questo: musica”.

Fonte foto: Pagina Twitter Rula Jebreal )

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