Tirano venti di guerra tra India e Pakistan dopo che il 14 febbraio scorso a Pulwama, nel Kashmir indiano, il gruppo pakistano Jaish-e-Mohamed (Jem) ha compiuto un attacco costato la vita a più di quaranta paramilitari indiani. In un’escalation di tensioni, il 26 febbraio l’esercito indiano ha lanciato dei raid aerei contro un presunto campo d’addestramento per terroristi in una provincia pakistana. In risposta il Pakistan ha avviato una serie d’incursioni aeree lungo la linea di controllo (Loc) che separa il Kashmir indiano da quello pakistano, abbattendo due caccia indiani. Si tratta di obiettivi molto all’interno del territorio dei due Paesi e gli attacchi non si spingevano così a fondo dalla guerra indo-pakistana del 1971.
La rivalità indo-pakistana sul Kashmir
Fin dal momento in cui diventarono stati indipendenti con la fine del regime coloniale britannico, India e Pakistan, sono scesi in guerra per ben quattro volte: nel 1947-1948, in seguito all’indipendenza sostennero un duro scontro per lo stato dello Jammu e del Kashmir; nel 1965combatterono una guerra per lo stesso territorio; nel 1971 si scontrarono nel corso della guerra civile che portò alla nascita del Bangladesh nel territorio del Pakistan orientale; nel 1999 infine si affrontarono nuovamente nel montuoso territorio del Kashmir. Con buone probabilità pochi conflitti, fatta eccezione per quello arabo-israeliano, dalla fine della seconda guerra mondiale, si sono dimostrati così drammatici. Non è un caso che in occasione del suo viaggio in Pakistan, India e Bangladesh del 2000, l’allora Presidente degli Stati Uniti d’America, Bill Clinton, proprio in riferimento all’Asia meridionale la definì come il “posto più pericoloso della Terra”.
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Una possibile spiegazione per del conflitto
Sebbene l’argomento religiosopossa ad un’analisi veloce sembrare quello più convincente, con un India compattamente induista che non avrebbe potuto accettare e costruire una relazione cooperativa con il Pakistan, patria putativa dei musulmani dell’Asia meridionale e viceversa, in realtà spiega poco. Innanzitutto entrambe le religioni, induista e musulmana, non sono monolitiche: entrambe infatti sono caratterizzate da moltissime differenze culturali, regionali e dottrinarie. Tra l’altro nelle regioni rivendicate dai due stati, il sufismo, setta mistica e sincretica dell’Islam, ha messo radici fin dal XV secolo. Inoltre molto dopo l’indipendenza e il riassetto territoriale seguito al conflitto del 1971, una serie di conflitti regionali e tra diverse sette continuarono, sfatando il mito della solidarietà e della monoliticità musulmana.
Molti studiosi ritengono che le origini del conflitto siano da rintracciare nella politica coloniale britannica nel subcontinente. Ma in verità, ad un’attenta analisi, gli scontri iniziarono molto prima dell’arrivo degli inglesi. Qualche analista infine ritiene che l’acutizzarsi delle tensioni, poi sfociate in scontri aperti sia da imputare alla saldatura delle relazioni USA-Pakistan dei primi anni cinquanta che contribuì al dominio della casta militare in Pakistan e alla militarizzazione della sua società. Ma in realtà il primo conflitto avvenne prima che iniziasse il rapporto militare con gli USA.
Una soluzione alternativa
Una possibile soluzione alternativa potrebbe essere individuata in una serie di elementi tra loro strettamente correlati: in primis gli impegni, completamente divergenti, presi dalle élite nazionaliste dai movimenti indipendentisti e anticolonialisti dei due Paesi. Una delle cause principali del conflitto indo-pakistano andrebbe quindi rintracciata nelle divergenze alla base della costruzione dello Stato. Un secondo elemento può essere ravvisato nella rivendicazione irredentista del Pakistan sul Kashmir. L’India, inizialmente orientata a un nazionalismo civile, mirò a far fallire questo tentativo pur di dimostrare che qualunque comunità, senza alcuna discriminazione su base religiosa, poteva vivere sotto il suo governo laico. Dopo la guerra del 1971 gli osservatori indiani e stranieri poterono osservare che le rivendicazioni pakistane sulla regione, sulla base della comune appartenenza religiosa, erano, nei fatti, vuote. Tuttavia anche il laicismo e gli argomenti indiani sulla regione cominciarono a indebolirsi sul finire degli anni ’80. Diminuì, in estrema sintesi, l’impegno originario a realizzare le rispettive concezioni della struttura dello Stato. Le due parti continuarono a scontrarsi sulla questione per motivi essenzialmente nazionalistici.
Il jolly delle elezioni indiane
Resta il fatto, incontrovertibile che si è trattato di uno degli attacchi più gravi degli ultimi decenni e potenzialmente di una miccia pronta ad accendersi in vista delle vicine elezioni indiane, in cui il primo ministro Narendra Modi spera di ottenere il secondo mandato. Vista l’attenzione riservata dall’esecutivo sul tema della sicurezza, sembrava inevitabile la risposta all’attacco del 14 febbraio. Anche per il primo ministro pakistano Imran Khannon rispondere all’attacco indiano sarebbe stato un suicidio politico. Ecco spiegato l’abbattimento dei due caccia indiani del 27 febbraio.
Oltre ad essere un conflitto armato, sia per Modi che per Khan, si tratta di una guerra di pubbliche relazioni. Tutto dipenderà dalla loro capacità di arretrare senza perdere la faccia con il rispettivo elettorato.
Una guerra non sarebbe comunque nel loro interesse e, vista la deterrenza nucleare, se i due stati non stempereranno la tensione dovrà intervenire la comunità internazionale a fare pressione sui due paesi asiatici.