Recesso del Regno Unito: Il Parlamento europeo ha approvato ieri a larghissima maggioranza l’accordo su brexit con 621 sì, 49 contrari e 13 astenuti. A testimoniare il passaggio e la rilevanza storica dell’evento, il Parlamento si è ricoperto di bandiere dell’Unione e di Union Jack britanniche.
A più di tre anni dal referendum che decise con il 51% dei consensi di lasciare l’Unione, gli eurodeputati britannici abbandoneranno Bruxelles e Strasburgo aprendo di fatto la fase due delle trattative. Dopo il Parlamento oggi anche il Consiglio europeo ha approvato l’accordo di recesso specificando come esso entrerà in vigore all’uscita del Regno Unito dall’Ue, alla mezzanotte del 31 gennaio 2020.
A partire da quel momento il Regno Unito non sarà più considerato un paese membro, ma un paese terzo.
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L’accordo di recesso del Regno Unito e la dichiarazione politica
Tecnicamente l’accordo è composto di due documenti distinti: l’accordo di recesso e la dichiarazione politica. Il primo stabilisce i termini dell’addio tra Londra e Bruxelles garantendo un’uscita “ordinata” del Regno Unito dall’Unione, mentre il secondo fissa le linee guida dei futuri rapporti post-brexit tra Londra e Bruxelles.
Gran parte dell’accordo, il cosiddetto Withdrawal Agreement, era stato negoziato durante il mandato di Theresa May nel 2018, ma alcune modifiche ottenute con il lavoro di Boris Johnson saranno comprese e riguarderanno soprattutto il confine dell’Irlanda del Nord (l’unico confine terrestre tra Regno Unito e Ue).
Nel testo si fa riferimento poi a una “partnership ambiziosa, ampia, profonda e flessibile attraverso la cooperazione commerciale ed economica che abbia al centro un accordo di libero scambio ampio e bilanciato”. Entrambe le parti hanno concordato poi di non abbassare gli standard in tema di “aiuti di stato, concorrenza, standard sociali e per il lavoro, ambiente, cambiamenti climatici e questioni fiscali” su cui dovranno essere stabilite regole comuni.
Cosa prevede l’accordo di divorzio e le conseguenze
I principali punti contenuti nei documenti prevedono molti cambiamenti per il futuro. Per quanto riguarda il turismo ad esempio fino alla fine del periodo di transizione (31 dicembre 2020) nulla cambierà per i turisti, ma a partire dal primo gennaio 2020 ci si dovrà munire invece di passaporto e visto. Il programma di scambio universitario Erasmus, subirà altresì delle modifiche anche se non sarà abolito del tutto.
Anche gli studenti minorenni interessati negli scambi linguistici dovranno munirsi di documento d’ingresso. I grandi magazzini che accettavano i pagamenti in euro, dal primo febbraio torneranno ad accettare solamente le sterline.
Inoltre le merci passeranno per una dogana e potrebbero subire dei rincari dovuti ai dazi. Sul fronte dell’immigrazione ci saranno cambiamenti sostanziali: non ci saranno limiti all’immigrazione legale purché gli immigrati abbiano un contratto di lavoro da 30mila sterline l’anno. Una misura volta a scoraggiare l’ingresso di manodopera poco qualificata.
I nuovi confini e la governance
Molte le novità per quanto riguarda i confini fisici del Regno Unito e dei territori d’Oltremare. Uno dei punti più controversi delle trattative su brexit aveva riguardato il confine con l’Irlanda (membro a tutti gli effetti dell’Ue). Per mantenere la pace sull’isola, smorzando eventuali tensioni derivanti da un “ritorno al passato”, fatto di confini e dogane, e per preservare l’integrità del mercato unico europeo, si è deciso di sostituire la cosiddetta clausola del “backstop”, che prevedeva una permanenza a tempo indefinito del Regno Unito nell’unione doganale e regole speciali per l’Irlanda del Nord.
L’Irlanda del Nord rimarrà parte del territorio doganale del Regno Unito, rispettando al contempo molti degli obblighi relativi all’unione doganale con l’Ue. Anche Gibilterra e Cipro, dove Londra detiene basi militari, avranno regole speciali per quanto riguarda diritti dei cittadini, regime fiscale e peculiarità legate ai due territori.
Per ciò che concerne la questione della governance invece, Londra e Bruxelles, ricorreranno a un comitato congiunto, con possibilità di valersi di un arbitrato nei casi più controversi per risolvere eventuali dispute che potrebbero sorgere. La Corte di giustizia europea potrebbe però intervenire qualora dovesse essere compromessa l’integrità delle norme europee.