PREMIER LEAGUE – L’orgoglio dell’East London


Londra è una città immensa, piena di storie e di sfumature che tanto affascinano i viaggiatori di tutto il mondo. Ogni area di quella metropoli può regalare aneddoti diversi che la rendono in grado di regalare qualcosa di nuovo ogni giorno.

Nel calcio, poi, un appassionato può letteralmente “sguazzare” tra storie e racconti di operai delle acciaierie, portuali, membri dell’esercito inglese che mettono su una propria squadra etc.
Non basterebbe una vita intera per saperle tutte, così come non finireste mai di volerle ascoltare.

Oggi vi parlo della parte più popolare della capitale d’Inghilterra. Si tratta della zona est, quella delle fabbriche e delle ditte di produzione; quella dove la gente si sveglia alle 5 o 6 del mattino per sbancare il lunario, dove la parola sacrificio è ben impressa sulla pelle e dove a tutti viene chiesto rispetto per quello che si fa quotidianamente per poter vivere dignitosamente.

Il West Ham United è il simbolo di quella gente. Non è una squadra come le altre, non può esserlo. I Claret and Blue o, più comunemente, gli Hammers sono l’espressione di un intero popolo a cui non interessa la categoria o se si alza o meno un trofeo al termine della stagione ma che vuole che i suoi ragazzi mettano tutto quello che hanno in corpo dal 1° al 90° minuto di ogni partita contro qualsiasi avversario si trovino davanti.

Tantissimi giocatori hanno incarnato questo spirito nella secolare vita del club, dal leggendario Bobby Moore a Frank Lampard Sr. Addirittura un italiano, Paolo Di Canio, è riuscito ad far suo tutto questo nonostante venisse da un altro paese ed è ringraziato ad oggi per quanto ha dato al West Ham, in campo e fuori.

Sembra una stupidaggine ciò che sto per scrivere ma, credetemi, non è così. Come alle persone nella vita di tutti i giorni, anche i club di calcio risentono negativamente quando si prendono decisioni che vanno contro la natura stessa dell’individuo.
Agli Hammers è capitato di voler rinunciare al Boleyn Ground, il loro storico campo da gioco situato ad Upton Park. Una decisione voluta dalla nuova proprietà che ha deciso di trasferirsi all’Olympic Stadium di Londra, quello delle Olimpiadi 2012, per fare un salto di qualità secondo quanto spiegato dai dirigenti.

Se per salto di qualità s’intendeva obbligare a vedere e partite da seduti, magari col popcorn o la bibita in mano o con la maglia di un altro club indosso devo dire che l’obiettivo è stato raggiunto alla grande.
Che si sa tralasciato il fatto che tutto questo non sia minimamente accettabile dal popolo degli Hammers era altresì scontato. Ma ve lo immaginate un tifoso della working class, abituato ad uno standard più che normale, obbligato a non tifare, a rimanere composto al suo seggiolino in un settore, magari, dove non si riesce nemmeno a vedere il pallone?

La nuova casa del West Ham United non fu pensata per il calcio. Fu fatto lo stesso errore, in Italia, per il “Delle Alpi” di Torino, costruito per il mondiale del 1990, quando l’architetto che lo creò ammise candidamente di non aver mai visto una partita di calcio in vita sua e, per questo motivo, regalò una struttura anche bella a vedersi ma con notevoli difetti di visibilità per lo spettatore.
La stessa situazione la si sta vivendo nell’East London e i fans sono già scesi sul piede di guerra con proteste durante le partite e raccolte firme per obbligare il club a cambiare o quantomeno migliorare la situazione, rendendo il clima attorno alla squadra molto difficile.

I ragazzi di Slaven Bilic hanno risentito e non poco di tutta questa negatività e hanno raccolto risultati deludenti, dall’eliminazione in Europa League ad opera del non irresistibile Astra Giurgiu ad una serie di sconfitte in Premier League.
La rosa è molto competitiva e con giocatori di talento come Payet e Antonio ed è stata protagonista sul mercato riuscendo ad assicurarsi le prestazioni di gente del calibro di Tore, Nordtveit e Zaza; eppure, il West Ham continua a non ingranare e si ritrova nelle parti basse della classifica.

La vittoria nell’ultimo turno contro il Crystal Palace sembra abbia dato ossigeno a tutto l’ambiente e da li bisogna ripartire. Certo, non sarà facile perché la Premier League è un torneo difficile che non permette troppi passi falsi e Noble e compagni questo lo sanno. Ma, proprio come ha detto il Capitano, “il Boleyn garantiva almeno 20 punti a stagione”. Allora si torna al discorso iniziale e a questo punto mi chiedo se vale la pena perdere la propria identità, la propria essenza in nome del vil denaro per poi sentirsi estranei in casa propria..
Ai posteri l’ardua sentenza.

Up the Pints!!

Davide

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