Israele il cancro secondo Samantha Comizzoli


Samantha Comizzoli: regista di una guerra sconosciuta

E’ ben chiaro, sin dal titolo, quale fosse la linea guida di questo docufilm di Samantha Comizzoli,  proiettato per la sua prima nazionale sabato 11 aprile nella Sala Campanella di Piazza del Gesù a Napoli. Film atipico, in quanto non frutto di sovvenzioni o sponsor di spicco, ma della meritoria opera umanitaria portata avanti negli anni dalla regista-attivista .

Tra mille intoppi, divieti e nell’indifferenza di una città a certe tematiche, la sala era per lo più vuota, nonostante un nutrito gruppo di palestinesi stesse protestando  nelle  stesse ore in Via Toledo in solidarietà per i profughi del campo Yarmouk. Avrebbero dovuto esseri presenti due palestinesi quali Amhad Nasser e Sari Qadri, a cui è stato negato il visto d’ingresso in Italia da parte del Consolato italiano a Gerusalemme. Eppure si trattava di testimonianze di persone  che, oltre  a non avere mai avuto coinvolgimenti politici, nel  loro piccolo lottano in maniera pacifica contro questo assedio, contribuendo ognuno a suo modo; il primo era collegato con Samantha via skype, l’altro -giovanissimo- era assente poiché ha vissuto quest’ennesimo diniego in maniera devastante, rifiutandosi di mangiare e bere, costretto poi al ricovero in ospedale a Ramallah. La sua testimonianza però non è mancata nel film, come quella di Ahmed, con le loro storie personali: Ahmed, paramedico volontario di 26 anni di Ramallah, spesso impegnato in opere di soccorso agli shebab e ai martiri nella West Bank;  Sari, giovane graphic designer di 21 anni. vive a Nablus, e prova attraverso la sua arte figurativa a rappresentare quello che avviene nei territori occupati della West Bank. L’avvenimento è stato suddiviso in due parti: una prima dove è stato proiettato il primo film “ Shoot-documentario sulla resistenza palestinese” con interventi e dibattiti via skype con la stessa regista. A seguire la proiezione di “ Israele il cancro”. Potremmo definirlo un breve racconto  con immagini e testimonianze scandite dalla voce narrante fuori campo della regista. Non è storia immaginata, ma vita reale di un Paese, la Palestina, che vive da settanta anni -nell’ indifferenza di tutti- l’assedio e l’occupazione da parte dello Stato d’Israele. Scorrono  immagini raccapriccianti, desolanti e sofferenti, raccontano ciò che vivono ogni giorno e lo spettatore resta sgomento di fronte a questa sorta di rassegnazione alla realtà che facilmente si identifica con la parole “nessun futuro”. Invece ogni testimonianza è pregna di coraggio, amore per la propria terra, volontà, dignità e soprattutto voglia di non arrendersi mai . Il film parte con gli scontri a Nablus, dove cinquemila persone resistettero  per sei ore al checkpoint di Qualandja, dove agli shebab che lanciavano pietre e fuochi d’artificio, i soldati israeliani risposero con fuoco vero, anche sulle ambulanze. Viene ricordata come la notte del “massacro di Qualandja”. Il film è scandito da 6 fasi: cancerogenesi, diffusione del tumore, cure palliative, metastasi, eutanasia e fine, attraverso le quali si narra quella che, a detta della regista anche nel titolo, è un cancro per il quale non vede una cura. Triste e lacerante conclusione, il racconto si sviluppa attraverso gli  occhi e la vita delle testimonianze portate sullo schermo, alcune a volto scoperto per volere dei genitori  a tutela di figli minorenni catturati, fatti prigionieri, torturati, arrestati e qualche volta scarcerati. Una malattia che lacera a volte il corpo, ma che sempre devasta la mente, i sogni, le speranze e i progetti di tutti loro. Un viaggio che partendo dall’analisi del reale, fatta non di grandi nomi ma di vite comuni, umili, arriva al loro subconscio e a quello che ne rimane, una volta cicatrizzate le ferite in superficie. Devastanti alcune testimonianze se le guardiamo attraverso gli occhi di un ragazzo di pari età del mondo occidentale. Increduli spettatori, assistiamo al fulmineo rapimento di un minorenne, perchè la vita lì è scandita così. Non solo da check point fissi ma anche mobili, che Israele riesce ad allestire in 10 minuti, da militari che sbucano all’ improvviso sulle loro jeep e ti arrestano incuranti; a nulla servono le lacrime, le urla di disperazione del giovane, dei suoi familiari e di chi, come Samantha, si avvicina a telecamere accese. Militari intoccabili, Israele è intoccabile, lo sa ed esercita in maniera inequivocabile il suo potere su un popolo lasciato a sé stesso: all’improvviso, mentre sei a casa, per strada, mentre dormi o stai per dare un esame arrivano i soldati e ti portano via. Come Sari testimonia di un amico, raffigurato in un suo dipinto, dicendo

 

non è un caso che ti prendano prima di fare un esame: è per toglierti le speranze”.

Come afferma Ahmed :

non abbiamo futuro, se usciamo di casa sappiamo che possiamo essere uccisi o arrestati.

Increduli e commossi ascoltiamo le testimonianze di tanti di loro. Il coraggio e il sorriso arriva dall’ anziana contadina, forte degli anni che la inseguono:

”Tutto il futuro è nei nostri ulivi, ci fanno sentire stabili qui, se i coloni sparano io gli lancio le pietre. Se hai un diritto e lo difendi diventi più forte, il diritto è tuo, non l’hai rubato”.

Il film, oltre ad essere un percorso dentro il pensiero dei palestinesi, lo è anche nella mente della regista e a colei a cui dedicato questo film A. G. Samantha resoconta ogni giorno e ad ogni ora ciò che avviene nella West Bank – Cisgiordania ( suddivise in tre aree: A, sotto controllo palestinese per il 17% del territorio, l’area B sotto controllo Israelo-palestinese per il 27 % del territorio, e l’area C. sotto controllo israeliano per il 59%). Lì si vive da occupati ed è cosa diversa da Gaza; entrambi appartengono alla Palestina, uno stato che si vuole cancellare dalle cartine geografiche, prima erano uniti ora sono separati. Accedere all’ altro lato è sempre più complesso e sottoposto al veto di Israele. Questo però rafforza il sentimento di unità nazionale dei palestinesi che protestano, per quello che possono e gli permettono. Dopo il film v’è stato un altro collegamento via skype con la regista, che ha interagito col pubblico in sala, rispondendo alle varie domande tra cui il perché non fosse presente alla prima del film asserendo:

perché non voglio chiedere un visto ad uno stato che non riconosco: Israele”.

Tempra e carattere forti, scherniti da un sorriso dolce e amaro, in quanto lei come tanti attivisti che si sono recati lì  per documentare al mondo ciò che avveniva, si è resa conto che

al mondo non interessa rinunciare alla sua vita comoda per difendere i diritti di qualcun altro”.

Il film è stato già presentato anche a Lecce il 12 aprile e il 14 aprile a Roma; il 15 aprile a Cagliari e a seguire Torino il 17 aprile, il 19 a Bologna, il 20 a Cesena, il 22 a Udine, il 24 a Novara. In rete si trova la presentazione di “Israele, il cancro” per una visione reale e non pilotata della realtà palestinese, difficile forse da spiegare nelle righe di un articolo. https://youtu.be/pC34CVdSyfU https://youtu.be/2imu1kXnm2M https://vimeo.com/86742675

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