Non odiare, trama e recensione


Non odiare – Simone Segre (Alessandro Gassmann) è un chirurgo che vive da solo e che deve riordinare e vendere la casa del padre scomparso, divenuto medico per curare i nazisti e sopravvivere ai campi di concentramento. Si ritrova a soccorrere un uomo vittima di un incidente stradale ma dopo aver visto che questi ha un tatuaggio con una svastica lo lascia morire. Forse pentito assume Marica (Sara Serraiocco), figlia dell’uomo, come collaboratrice domestica ma si ritroverà ben presto a dover fare i conti con il fratello Marcello (Luka Zunic), fervente fascista e antisemita che non vuole che la sorella lavori per un ebreo.

Non odiare, recensione

Per il suo esordio alla regia di un lungometraggio Mauro Mancini sceglie di partire da una storia vera e sicuramente non facile, realmente accaduta in Germania. E regala ad Alessandro Gassmann un gran bel ruolo, ottimamente interpretato in termini di intensità. Il suo Simone cova un rancore (tra l’altro anche verso suo padre) che gli rende impossibile il perdono anche se il senso di colpa non può evitargli di prendersi cura di Marica, salvo poi innamorarsene. In Marcello e nel saluto fascista del fratello più piccolo davanti alla tomba del padre ci vengono raccontate le derive attuali dell’estrema destra, alimentate in parte da giovanissimi che spesso emulano senza comprendere. Ma l’odio del titolo del film è presente anche in Simone, quando all’inizio lascia morire il padre di Marica. Quest’ultima è una figura che si trova giusto a metà strada tra il protagonista e la sua forza avversa. Lo stesso odio è presente ampiamente nella nostra società, che individua sempre un nemico da combattere e al quale dare la colpa di un mondo che non funziona come dovrebbe.

Premio Pasinetti a Gassmann per la migliore interpretazione maschile

Presentato in anteprima all’ultima Mostra di Venezia (dove Gassmann ha vinto il premio Pasinetti per la miglior interpretazione maschile), “Non odiare” parte con la sua sceneggiatura firmata da Davide Lisino e dallo stesso Mauro Mancini dalla storia di un chirurgo ebreo che nel 2010 si rifiutò di operare un paziente che aveva un tatuaggio fascista. Le riprese a Trieste si sono spinte fin dentro la sinagoga come non era mai accaduto prima. Mancini punta in alto riuscendo a dribblare in gran parte la retorica, dirigendo un’opera misurata ed essenziale, lasciando parlare spesso il silenzio e raccontando una tematica attuale non solo per l’Italia, legata al nazifascismo antisemita. Non si sofferma su come e perché i protagonisti siano arrivati ad essere quello che sono ma semina per loro sul finale alcuni semi di redenzione. Il sangue di Simone che arriva a curare Marcello materializza l’imperativo del titolo, suggerendo l’unica chiave salvifica possibile.

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