La nuova serie “Hanno ucciso l’uomo ragno”, in onda su Sky dal 2024, si presenta come un viaggio nostalgico e avvincente nella storia degli 883, iconico duo musicale italiano degli anni ’90. I primi quattro episodi offrono una narrazione equilibrata che, pur basata su eventi reali, abbraccia temi universali come amicizia, crescita personale e il peso dei sogni giovanili, rendendo la serie accessibile anche a chi non conosce la storia della band. La serie è diretta da Sydney Sibilia, regista che ha lavorato anche a “Smetto quando voglio” e “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose” e “Mixed by Erri”. Di seguito la recensione dei primi 4 episodi della serie.
Gli episodi 1 e 2: un’introduzione coinvolgente
La serie ci introduce ai protagonisti, Max Pezzali (interpretato da Elia Nuzzolo) e Mauro Repetto (Matteo Oscar Giuggioli), due adolescenti di Pavia alla fine degli anni ’80. Max è un ragazzo introverso e riflessivo, amante dei fumetti e della musica americana, che si ritrova a ripetere l’anno scolastico a causa di una bocciatura. Questo fallimento si trasforma però in un’opportunità quando incontra Mauro, un ragazzo pieno di carica ed entusiasmo, che sogna di diventare un DJ e si accorge subito del talento di Max nella scrittura di canzoni. Nasce così un’amicizia che andrà oltre le difficoltà personali e li guiderà verso la creazione delle prime tracce del futuro album degli 883.
Questi episodi, attraverso dialoghi brillanti e un’ottima dinamica tra i due attori principali, riescono a trasmettere la passione per la musica e i sogni di rivalsa che muovono i protagonisti. La leggerezza dei momenti comici si alterna con riflessioni più intime, evidenziando il conflitto tra insicurezze personali e il desiderio di emergere. La colonna sonora, arricchita dai classici degli 883, non è solo un omaggio, ma una parte integrante della narrazione, capace di farci rivivere l’epoca in cui la storia è ambientata senza scivolare nella semplice nostalgia.
Gli episodi 3 e 4: il successo e la separazione
La storia prosegue con l’inizio del sogno musicale. Nel terzo episodio, Max e Mauro affrontano il loro esame di maturità mentre, all’insaputa di Max, Mauro invia la loro cassetta a Radio Deejay. L’inaspettato successo del singolo li porta a esibirsi in televisione, aprendo loro la porta al mondo dello spettacolo. Tuttavia, il successo porta anche a tensioni tra i due amici: mentre Mauro vede la musica come una via di fuga dalla monotonia della provincia, Max rimane più cauto e dubbioso sul futuro.
Nel quarto episodio, la rottura tra i due diventa evidente. Dopo una discussione, Max e Mauro smettono di parlarsi e prendono strade diverse: Mauro si dedica al lavoro come animatore, mentre Max si ritrova a fare l’autista di ambulanze, pur continuando a pensare alla musica. Qui la serie dimostra la sua profondità, raccontando come i sogni possano trasformarsi in fonte di conflitto e divisione, ma anche di riflessione personale. La relazione tra Max e Silvia, l’amore adolescenziale non corrisposto di Max, offre ulteriori spunti drammatici, con Max ancora invaghito di lei nonostante Silvia sia impegnata con un altro ragazzo.
Una serie che va oltre la nostalgia per la band
Quello che rende “Hanno ucciso l’uomo ragno” più di una semplice celebrazione degli 883 è la sua capacità di parlare a tutti, non solo ai fan della band o ai nostalgici degli anni ’90. La serie, sotto la guida di una sceneggiatura ben scritta e una regia attenta, riesce a costruire una storia universale. È un racconto di formazione che esplora il passaggio all’età adulta, i sogni e le difficoltà di una generazione che, pur non avendo grandi mezzi a disposizione, trova nella musica una via per esprimere se stessa.
L’eccellente interpretazione dei protagonisti, specialmente Nuzzolo e Giuggioli, conferisce autenticità ai loro ruoli, rendendo i loro personaggi più reali e vicini al pubblico. La scelta di non cadere in cliché o in eccessiva nostalgia, ma di affrontare la storia con uno sguardo fresco, conferma la qualità della produzione, che non teme di esplorare anche le fragilità dei protagonisti. La musica degli 883, che accompagna tutto il percorso narrativo, viene inserita con grande delicatezza, diventando un terzo protagonista della serie.
Conclusioni
I primi quattro episodi di “Hanno ucciso l’uomo ragno” segnano un inizio promettente per una serie che si preannuncia essere una delle migliori produzioni italiane recenti. Con un sapiente mix di commedia, dramma e un’attenta ricostruzione di un’epoca, la serie è un tributo sincero alla musica degli 883 e alla loro capacità di trasformare le esperienze di provincia in storie universali. I prossimi episodi promettono di approfondire ulteriormente la complessità dei personaggi e il loro rapporto con il successo, offrendo agli spettatori un’avventura emozionante e toccante. Secondo quanto riporta SkyTg24, questa è “la serie di produzione originale Sky più vista degli ultimi 8 anni”.