Vittime dimenticate: «Per Francesco Paolillo ancora nessuna giustizia»

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«Giustizia». Una parola in cui si concentra la sola ed unica richiesta di Alessandro Paolillo, fratello di Francesco, morto a 14 anni il 25 ottobre 2005, cadendo dal rudere di un palazzo a Ponticelli, periferia est di Napoli. Oggi che il cantiere di quell’area è sotto sequestro, nella famiglia della piccola vittima della disattenzione delle istituzioni, che per anni hanno dimenticato quella tragedia, Alessandro, fratello maggiore del ragazzino che perse la vita per salvare quella di un amico, chiede di accendere i riflettori su una zona completamente abbandonata. Una zona che a distanza di 16 anni resta una cattedrale nel deserto. Dove a lottare e a portare avanti la memoria di Francesco c’è rimasto solo Alessandro e la sua famiglia.

Francesco Paolillo, la storia

Il ragazzo morì a 14 anni, il 25 ottobre 2005, cadendo da un palazzo abbandonato in quella che allora si chiamava via De Meis. Sul luogo della tragedia oggi c’è un cantiere-discarica, dove restano ancora i piloni e le fondamenta di quell’edificio “killer”. Tante le battaglie della famiglia di Francesco per la bonifica e la messa in sicurezza, ma soprattutto per ricordare il sacrificio di un bambino che a tutt’oggi è stato dimenticato a tutela di altri minori della zona. «I bambini del quartiere spesso hanno voluto rendere omaggio a mio fratello – spiega Alessandro Paolillo, 36 anni, che da 16 anni porta avanti la battaglia per il riconoscimento del fratellino come vittima di Stato – nel giorno del suo compleanno. Per me e i miei genitori è stato emozionante vederli disegnare e scrivere frasi d’amore in memoria di Francesco (a cui è dedicata un’edicola votiva impreziosita dai messaggi di speranza dei bambini di oggi, come lo era lui allora)».

Quando due anni fa Francesco avrebbe compiuto 29 anni, nel giorno del suo compleanno gli fu intitolata una strada in una traversa di viale Carlo Miranda, teatro della tragedia. Anche se la morte del figlio, non ancora riconosciuto vittima di Stato, si sarebbe potuta evitare, come tante volte ha ricordato Rosaria, 60 anni e mamma di Francesco. Non solo. I familiari hanno richiesto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella il riconoscimento della medaglia al valor civile a seguito di quel gesto eroico. Un appello che finora non è stato accolto.

Il murale

Un’altra iniziativa per ricordare Francesco Paolillo è un’opera di street art. Un murale realizzato lo scorso maggio dall’artista Domenico Tirino (NAF-MK) sulla facciata delle palazzine popolari che si trovano di fronte all’area mai riqualificata dove morì il ragazzo e che tutt’oggi versa nel degrado. Nel murale Francesco è ritratto nei panni di un super eroe, Superman circondato da altri personaggi del mondo dei cartoni: un’immagine che rimanda a una vecchia foto che fu scattata a Carnevale quando il bambino aveva pochi anni, come ricorda suo fratello Alessandro. Come le tante immagini di Francesco che la sua famiglia diffonde giorno per giorno anche sulle pagine social che a lui sono dedicate. Un impegno per tenere viva la memoria del ragazzo come testimonianza per i tanti piccoli che nel quartiere della periferia orientale non hanno spazi dove giocare e sono costretti a farlo in mezzo alla strada. A ridosso del murale c’è infatti un’area verde dedicata alla memoria del 14enne: qui c’è un parco con giostrine, che purtroppo è inagibile e non curato. E sullo sfondo via Carlo Miranda dove chiunque va a sversare rifiuti illegalmente e dove spesso si scatenano incendi che distruggono quel poco di vegetazione che potrebbe essere recuperata.

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Un albero per Francesco

Tante le battaglie di Alessandro e della sua famiglia da quel lontano 25 ottobre 2005. Una strada, un’area verde, un murale. E da oggi anche un albero donato dalla Coldiretti che sarà dedicato a Francesco. Un’ulteriore testimonianza che ricorderà il sacrificio di un bambino di 14 anni, strappato alla vita troppo presto, che dopo 16 anni attende ancora di essere ricordato degnamente. Come il degrado che avvolge l’area dove trovò la morte e che ancora oggi è il simbolo dell’infanzia negata di Napoli est. «Quel cantiere deve essere messo in sicurezza con un progetto serio – chiede ancora una volta Alessandro – In questo periodo ho continuato a vedere camion gettare terreno dove c’è ancora il sangue di mio fratello. Un ulteriore oltraggio alla sua memoria». Dopo 16 anni da quella tragedia.

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