Il cielo di Palestina in scena fino al 7 febbraio al teatro Elicantropo di Napoli, è uno spettacolo omaggio al popolo palestinese.
“I ricchi hanno Dio e la polizia, i poveri hanno le stelle e i poeti”
Questo verso scritto su un pezzo di carta dal poeta palestinese al soldato israeliano che glielo chiede, conclude lo spettacolo “Il cielo di Palestina “ ed è tratto da “La terra più amata” voci della letteratura palestinese. Pochi versi, denunciano la condanna di un popolo all’indifferenza del mondo.
Il cielo di Palestina è uno spettacolo omaggio al popolo palestinese, in scena per la prima volta nel 2000, e ancora una volta è riproposto con la speranza che non si debba più domani parlare della questione palestinese, perché risolta. Questo è l’auspicio del regista Carlo Cerciello, in questo teatro che è al ventennale della sua attività, fucina di progetti teatrali di spessore – che spesso per i temi affrontati come quello palestinese – non vedranno mai grandi teatri. Questo per significare che la sofferenza di certi popoli non conta nulla, è volutamente nascosta dai grandi della terra e dai media mainstream; argomento sul quale siamo tutti anestetizzati o quasi ; eccetto quelli che seguono le sofferenze di questo popolo, che ha il triste primato di un’occupazione che dura da settant’anni.
Alla loro dignità quotidianamente calpestata, ai loro diritti negati, alla loro vita derubata è dedicato questo spettacolo, al quale bisogna avvicinarsi con un minimo di conoscenza dell’argomento dato anche lo spessore della sofferenza. Giusta è la scelta di un filmato introduttivo che è proiettato prima di accedere in sala. Le immagini e i dati che si rimandano sono cruenti, ma riescono solo in minima parte a rendere l’idea di quanta ingiustizia, sofferenza, ci sia nelle urla di dolore di un popolo che chiede di vivere in pace nella sua terra e quando gli va bene, è costretto ad osservarla da lontano, perché una volta usciti quasi mai potrà rientrarvi. Nella peggiore delle ipotesi è obbligato a vivere da carcerato, da umiliato, col terrore di non fare mai ritorno a casa ogni qualvolta esce. Una situazione di apartheid che avviene sotto gli occhi di un mondo cieco. Questo spettacolo è dedicato anche a Rachel Corrie, attivista statunitense uccisa da un bulldozer israeliano poiché fece scudo con il suo corpo nel vano tentativo di impedire che fosse abbattuta una casa palestinese. Sì, perché in Palestina possono farti saltare la casa e ti avvisano dieci minuti prima, solo dieci minuti per raccogliere i ricordi di una vita, e se non esci, muori con la casa. Lì, arrestano anche i bambini e al loro insindacabile giudizio ritenerli maggiore di dodici anni. Ti arrestano e condannano senza un processo. Le immagini sono accompagnate da due brani cantati da Rosaria Alba Chiariello e Valentina Clemente.
“Gridano i corpi sparsi tra le case, grida il fiore inerme sul balcone incenerito, grida l’orbita spenta del bambino sopra l’asfalto.
E’ un Paese che grida nelle quattro direzioni del vento che lo flagella…”
Le voci della letteratura palestinese assumono in questo spettacolo i tratti di un vecchio maestro che ripercorre i suoi ricordi, interpretato da Omar Suleiman. Racconta del suo studente Fares e della sua famiglia, interpretato da Raffaele Imparato. La storia di Fares è comune a tanti in Palestina, estranea ai nostri canoni di vita. Costretto a scappare e lavorare nei paesi del golfo per sfuggire a quella che è una non vita in Palestina, ma viene arrestato quando vi fa rientro. Continui flashback, luce e buio, scandiscono le scene che si alternano. Essenziali, povere ma investono di dolore, rabbia, dignità e sofferenza. Dall’esilio al carcere, dalla morte alla poesia, che è eterna. Intense l’interpretazione degli attori sul palco: Paolo Aguzzi, Gian Marco Ancona, Luciano Dell’Aglio, Fabio Faliero, Vincenzo Luguori, Fiore Tinessa, gli allievi del Laboratorio Teatrale Permanente e con la partecipazione di Imma Villa. Le musiche di Paolo Coletta, le scene di Massimo Avolio e Roberto Crea. Non perdetevi un’occasione d’incontro con un popolo che da sempre è abbandonato alla sua triste storia di vivere sotto occupazione, che vede i confini della sua terra sempre più ridimensionati a puntini sulle cartine geografiche a favore di uno stato quello di Israele, che estende i suoi, violando di continuo i trattati internazionali, a partire dalla Risoluzione Onu 181 del 1947.
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